2020 aprile – dalla Tanzania padre Marco Turra

Carissimi,

Mi trovo all’ospedale di Ikonda, distretto di Makete, Tanzania.

E’ passato più’ di in mese da quando e’ stato annunciato dal ministro della salute il primo caso di covid19 nella città’ di Arusha. Da allora i casi sono aumentati a poco a poco fino ad arrivare a 94. I morti sono stati 4, mentre sette persone sono “guarite”. Il focolaio più’ importante si trova a Dar es salaam, a circa 900 km da qui. Dunque siamo ovviamente preoccupati perché’ il nostro ospedale ospita ogni giorno dalle 200 alle 300 persone al pronto soccorso, mentre i ricoverati sono sempre più’ di 300 e vengono da diverse zone del paese. A tutti gli ammalati prendiamo la temperatura, chi ha la febbre deve seguire un percorso alternativo. La speranza e’ che l’epidemia, seguendo un po’ l’andamento degli stati africani, non ci metta alla prova come in Europa e negli altri paesi alla stessa latitudine di quelli europei. Infatti, i mezzi che abbiamo per contrastare il virus  sono decisamente inferiori. Non possiamo fare un lockdown paragonabile a quello fatto in Italia. Siamo invitati a mantenere le distanze e lavare spesso le mani. Siamo tra i paesi che non hanno ancora vietato le celebrazioni nelle chiese e nelle moschee, anche se comunque cerchiamo di mantenere le distanze all’interno degli edifici di culto. Per ora, a parte queste misure preventive, sembra che anche il nostro paese, un po’ come gli altri stati africani, sia destinato a subire le conseguenze socio-economiche più’ che epidemiologiche del virus. Per ora.

Qui è da meta’ febbraio che non abbiamo più’ volontari sanitari dall’Italia, ed erano loro che alzavano non poco il livello del nostro ospedale. Ora non sappiamo quando torneranno. Comunque il personale locale (circa 320 tra medici, infermieri e staff di supporto) si sta comportando egregiamente. Non oso pensare cosa possa capitare se il virus arrivasse qui.

Le mie giornate le trascorro prevalentemente in ufficio lavorando nell’amministrazione dell’ospedale. Qui la maschera la indossano solo coloro che sono più’ a contatto coi malati. Nonostante mi stia abituando a convivere con questi cambiamenti, sono sempre piuttosto preoccupato. Non è facile sapere esattamente cosa fare, convivere con le mie responsabilità e anche con la paura. Sono grato al Signore e ricordo sempre quel che disse a proposito del cieco nato: nessuno ha peccato (o forse si’, ma non ha grande importanza), siamo cosi’ perché in noi si manifestino le opere di Dio. E l’opera più grande è la misericordia, l’amore. Cosi’ sono sicuro che qualsiasi cosa capiti, il Signore non ci farà mancare la sua misericordia. Ci sarà poi ovviamente da continuare la riflessione sui nostri stili di vita, le parole di papa Francesco sono state molto pertinenti, non possiamo più’ pensare di essere sani in un mondo malato. E ringrazio la missione, che tutto sommato rimane sempre un punto di vista privilegiato perché’ ti allena costantemente a cambiare e uscire da te stesso per ritrovarti dove non avresti mai pensato.

Uniti.

Marco