8 febbraio 2006, Bibwa -Tanti progetti perché la gente possa camminare

18 febbraio 2006, Bibwa – Congo

Tanti progetti perché la gente possa camminare

Il nostro principio è Salvare l’Africa con l’Africa, cioè mettere al primo posto la gente di qui, per riflettere e scegliere, per assumere le responsabilità e la continuità.

“Eravamo sul sentiero che, come filo d’Arianna, lega i villaggi. Le alte erbe di fine stagione secca disturbavano il volto. Agli amici che condividevano il mio cammino missionario ho ricordato le parole che Dio dice in Isaia: “Non ricordate più le cose passate, ecco che faccio un’opera nuova, ecco già ora germoglia: ma non ve ne accorgete?” Le erbe secche sembrano padrone ma sono il passato. I nuovi germogli si fa fatica a vederli ma sono il futuro. Questo nostro Congo, se viene raccontato da chi vede le erbe secche, non convince. Dio vorrebbe donarci il suo sguardo, uno sguardo da “popolo di profeti”, per vedere che lui sta facendo un’opera nuova; vorrebbe tanto colmarci di speranza per crederci, di coraggio per metterci le mani. È Lui che fa, ma è bello essere suoi collaboratori. Quando con la gente di qui ci siamo radunati a riflettere e fare le scelte, abbiamo vissuto una stagione operosa, quasi euforica. Ma l’avevamo chiarito all’inizio: facciamo un’esperienza pratica, per capire meglio chi siamo, che coraggio ci portiamo dentro, quali persone tra noi hanno preparazione e costanza per assumere le responsabilità. Poi faremo tappa, studieremo la cosa, ripartiremo sapendo meglio dove mettere le mani. Adesso non mi lasciano in pace, paiono un bambino stanco della pancia di sua mamma che adesso vuole venire alla luce e guardare sua mamma negli occhi. Perché il tempo gioca contro di noi, una trasformazione rapida investe questo quartiere di estrema periferia che sta diventando una sola cosa con Kinshasa. Quante volte ho pensato a Gesù, che sente compassione della folla, perché sono come pecore senza pastore! La maggioranza è arrivata qui, profughi della guerra, profughi della miseria, ma con tanta voglia di riprendere in mano la vita. Ci siamo detti: una cosa alla volta, perché il cane, anche se ha quattro zampe, non corre dietro a due lepri insieme.” “Nasce così la proposta di un corso di scolarizzazione per le ragazze dai 13 ai 20 anni che nei tempi di insicurezza e precarietà non sono andate a scuola. Potrebbero imparare anche un piccolo lavoro. Oppure c’è un corso di alfabetizzazione per adulti che desiderano anche mettere in comune loro conoscenze di medicina tradizionale e cucina locale. C’è il corso per i bambini che stanno sulla strada e che hanno interrotto gli studi, perché si riavvicinino alla scuola. Ci sono corsi di informatica per i giovani, visto che ormai la tecnologia irrompe nelle città africane con prepotenza. I corsi di lingua inglese e francese potrebbero interessare i ragazzi della scuola secondaria. Tutti sappiamo la fatica di imparare una lingua dove parlato e scritto non vanno d’accordo. Cerchiamo anche di promuovere lo sviluppo agricolo dei villaggi a qualche ora di cammino da Bibwa. Il nostro principio è Salvare l’Africa con l’Africa, cioè mettere al primo posto la gente di qui, per riflettere e scegliere, per assumere le responsabilità e la continuità. A ogni partecipante chiediamo un contributo sia pure modesto (qui mangiano una volta al giorno e, se il mese è più lungo di febbraio, i giorni in più sono digiuno). Ho fatto un conto: coi costi della città, mangiare quanto basta per avere una linea invidiabile ci vuole un dollaro a testa; siete sei in casa, ci vogliono sei dollari. Mi sono guardato attorno e ho trovato più gente che dollari. La sottoalimentazione indebolisce il fisico. Mi confidava oggi padre Benito che è con me: “Bibwa è un ospedale a cielo aperto, le malattie in circolazione trovano subito dove mettersi, i poveri non hanno mezzi per curarsi, la Caritas locale da sola non ci arriva…”. Come fare? Rimandarli tutti a casa come dicevano i discepoli? “Fate qualcosa voi”, diceva Gesù. Bella invenzione la macchina! Però per farla correre ci vuole la benzina. E per realizzare un progetto ci vogliono i cum quibus. La popolazione di Bibwa è molto giovane. Circa il 70% della gente è sotto i 25 anni. I grandi sciamano al mattino per tornare a sera con qualcosa, e i bambini a chi li lasciamo? Intanto sono sacrificate le bambine, che non vanno a scuola per badare al fratellino. Mamme o ragazze preparate per fare una piccola scuola materna ci sono: tra l’altro sono artiste nell’animare i bambini.” “La vita serve per imparare a vivere, scoprire ciò che conta, cioè amare ed essere amati: e quando abbiamo imparato, è tempo di entrare nella Vita, dove Dio sarà tutto in tutti. Dio è amore e ci ha amati per primo: e l’amore verso gente come noi tante volte si chiama misericordia, ma lo fa così volentieri e col volto che si illumina per incoraggiarci, che la misericordia venuta da lui non pesa proprio ma rende leggero il cuore. Ho ricevuto tanto dalla vita, e tanti doni Dio me li ha fatti passando per la gente. Sono in debito, e dire “grazie” significa fare il possibile per ridonare il bene ricevuto. […] Sabato venivo dai villaggi oltre il fiume Fushi. Sul sentiero trovo donne e bambini che portano legna sulla testa: fascine incredibili. Si fermano a respirare. Chiedo a una mamma se posso portare il suo carico. È così sfinita che accetta. Me lo metto in testa e sento male al collo, dopo 200 metri il cuore batte forte e mi manca il respiro. Passato il fiume c’è la salita. Mi fermo. Saranno più di 70 kili. Lei vuole portare da sola, facciamo metà metà. Sono arrivato alla casupola stremato. Dico: “Mamma, questo lavoro ti ammazza”. “Se non lo faccio, cosa mangiano i bambini?” Mentre io porto una Bibbia leggera in mano, sento che queste donne e questi bambini fanno una vita che il Padre guarda con estrema attenzione, e lo ringrazio.” “Un aiuto lo abbiamo anche dato alle persone troppo povere per potersi curare. Ciò che rende Bibwa una missione un po’ sui generis è che siamo in città anche se estrema periferia, fino a poco tempo fa c’era savana e nessun servizio, in poco tempo si sono installate centinaia di famiglie nuove, la maggioranza delle quali sono come i naufraghi che toccano riva e non hanno bagaglio appresso, su una terra non loro (come invece capita nei villaggi) e un terreno sabbioso che rende ben poco. Eppure il baricentro di Kinshasa si sta spostando verso di noi, i nuovi quartieri sono previsti di qua, domani ci saranno strutture per il lavoro, la gente crede che il futuro sarà diverso dal presente.”

p. Benito Amonini