Cooperazione in Camerun

Un po’ di storia

Dal 1989 i nostri fidei donum sono presenti al nord del Camerun.

Inizialmente furono don Felice Cantoni e don Donato Giacomelli ad avviare l’esperienza, trasferendosi dal sud della medesima nazione, dopo una pluriennale esperienza a Bimengué.

La parrocchia di Sir, che fu loro assegnata dal Vescovo di Maroua era situata in una zona rurale, al confine con la Nigeria, e abitata dall’etnia dei kapsiki, comprendente circa 45.000 persone.
Successivamente don Felice e don Donato furono avvicendati da don Giusto, don Angelo e don Andrea. Don Andrea è rientrato nel 2009, dopo sei anni di missione, don Giusto conclude il suo servizio nell’ottobre del 2010. Ad essi si sono aggiunti don Corrado (rientrato definitivamente a giugno 2014) e don Alessandro che ha avvicendato don Giusto. Ma negli ultimi anni non solo sacerdoti diocesani sono partiti per la missione come fidei donum. Brunetta, Alda e Laura (rientrata definitivamente a giugno 2014) sono in Camerun per un periodo di servizio da ormai alcuni anni. Essi hanno in cura le quattro parrocchie della zona. In queste parrocchie c’è ancora una forte presenza di kapsiki, ma soprattutto nella zona più cittadina ci sono più etnie di lingue diverse e nella parrocchia di Nguétchéwé si trova una dominanza di mafa.
Tutto ciò lascia intravedere una delle difficoltà maggiori che i nostri missionari devono affrontare, cioè la lingua locale, o meglio, le lingue locali. Infatti, pur essendo il francese la lingua ufficiale al nord del Camerun, questo non è inteso e parlato dalla maggioranza della popolazione, soprattutto fuori dai grossi centri abitati. E le lingue delle etnie locali, oltre ad essere diverse fra loro, sono anche particolarmente difficili da apprendere.
Anche sotto il profilo religioso, convivono presenze differenti: i cristiani cattolici sono circa il 15%, altrettanti i cristiani appartenenti alle Chiese evangeliche, più del 20% i musulmani, e i rimanenti praticano le religioni tradizionali africane. Le diverse appartenenze non sono però fonte di tensioni o di conflitti rilevanti.

L’ambiente naturale, reso particolarmente suggestivo dai caratteristici picchi vulcanici dei kapsiki, vede l’alternarsi di due sole stagioni: quella delle piogge e quella secca. La gente vive soprattutto coltivando il miglio, il granturco, la patata dolce, il cotone e le arachidi, e allevando bestiame. Si tratta, come è facile immaginare, di una agricoltura di autosussistenza, ma che, a meno di scarsità d’acqua, permette una vita dignitosa. Purtroppo l’avanzare della desertificazione sta però cominciando a farsi sentire.

L’attività dei missionari è volta soprattutto a seguire le “piccole comunità viventi” (CEV), veri e propri centri di condivisione della fede e della vita, in cui sono suddivise le parrocchie. Molte energie vengono spese nel portare avanti il cammino di catecumenato per chi intende diventare cristiano: il battesimo infatti non è dato ai bambini, ma a chi, da giovane o adulto, chiede di entrare a far parte della Chiesa. La preparazione dura almeno quattro anni, e al termine è la comunità stessa che esprime il proprio parere sulla serietà con cui il candidato ha portato avanti il suo impegno.
La Chiesa è impegnata inoltre negli svariati settori riguardanti la promozione umana: dall’educazione scolastica, alla assistenza sanitaria; dal lavoro con i carcerati alle attività di microcredito; dalla realizzazione dei pozzi per l’acqua ai corsi di formazione agricola; dalla lotta per la giustizia e contro la corruzione, alla promozione della donna…

Quella di Maroua-Mokolo è una giovane Chiesa: i primi missionari sono giunti solo una cinquantina di anni fa. I problemi e le contraddizioni, a livello ecclesiale come a livello sociale, certo non mancano. Ma, come ha osservato recentemente qualcuno, l’essere missionario in quel luogo, fra quella gente, ti permette di assistere ad un evento unico: il miracolo della nascita di una Chiesa, il suo muovere i primi passi, incerti ma carichi di fiducia e speranza.

 

dal mese di aprile 2014:
Vista la situazione di insicurezza a causa degli attacchi continui da parte di Boko Haram e in seguito ai rapimenti di 4 missionari nella diocesi di Marouà-Mokolo (un sacerdote francese, due sacerdoti vicentini, una suora canadese), il 13 aprile 2014 dopo un confronto con il centro missionario, i fidei donum rientrati da qualche anno e le diocesi italiane impegnate nella stessa zona di missione, il Vescovo di Como Mons Coletti ha scritto una lettera in cui chiedeva ai nostri missionari il rientro in Diocesi. Con più calma e insieme, avremmo potuto capire cosa fare in futuro e riprendere il cammino con coraggio e speranza.
Il 10 luglio 2015
Mons. Diego Coletto ha comunicato ai missionari Fidei Donum che, per motivi di sicurezza in relazione alla continua situazione di pericolo e di tensione causata dall’organizzazione terroristica jihadista Boko Haram diffusa in Nigeria e sconfinante in Camerun, non assume la responsabilità di un invio in missione nella diocesi di Maroua-Mokolo. A tutta la comunità diocesana affida il compito di pregare per la pace di popoli interi che soffrono a causa della guerra e del terrorismo, di continuare a sostenere la missione in Camerun con la preghiera e con l’aiuto economico secondo le modalità previste nella convenzione.