1 febbraio 2011, Rhumzu – Cameroun SCI: è un ragazzo!

Ciao a tutti! Qui tutto bene. Angelo sta lavorando sodo per la traduzione della Bibbia. Alessandro si specializza nella lingua kapsiki e nell’arte culinaria. Laura sta trasformando la seria aumonerie in un gioioso oratorio. Alda e Brunetta, a Mokolo, fanno i geometri: stanno prendendo le misure. Io… sono qui. Il caldo è arrivato con prepotenza: l’acqua partirà presto. Le sessioni di formazione sono alle porte: per le donne, per i catechisti, per i giovani… Dopo 13 mesi dalla visita dei Vicari episcopali di Como, a Mogodé abbiamo ubbidito. Commenti della gente: “Che bello! C’è anche l’acqua! …Ma, a cosa serve?” Ecco il primo water con sciacquone della zona Kapsiki! Eh, il progresso!

Sci

Sono le 22.30. Sto preparando le ultime cose per la domenica. Il computer mi avverte che è ora di smettere. Il vento soffia lieve questa sera. Oggi ha fatto caldo. Sento dei passi sulla ghiaia davanti a casa. Non può essere una visita: è tardi. Accanto ai passi, a tempo, il rumore di un bastone che picchia sul sentiero. Ora capisco. Sento l’ospite arrivare sotto la veranda. Il bastone cade sul pavimento di cemento. Lui anche. Passerà lì la notte. Per terra, sul cemento. Un letto ambito. Fresco. E’ Sci! In kapsiki sci è il nonno, ma anche il più piccolo della famiglia. Gli estremi si toccano!

Sci è un ragazzo di una ventina d’anni.

Sci, diremmo noi, è un ragazzo con problemi mentali.

Sci, di solito, è vestito come Mosè. Una tunica bianca… beh, sì, era bianca. Un grande bastone in mano. Manca solo la barba. Il sorriso è da bambino.

Sci è un grande viaggiatore. E’ sempre sulla strada. Chiede di salire sulle macchine e viaggia. Avanti e indietro sulla grande strada. Ovunque tu sei, lui è lì. Urla: “Uei! Uei!” Vuole un passaggio.

Sci è un ottimo claxon. In piedi, sul cassone della Toyota, più solenne del Papa. “Biiit Biiit!” Tutti si scansano. A volte bussa sul tetto della cabina: “Ehi! Ehi! Fermo!” C’è qualcuno sulla strada che, secondo lui, va caricato.

Sci è capace di far sorridere tutti quelli che incontra. E’ conosciuto in ogni villaggio kapsiki, sia camerunese, sia della vicina Nigeria. Tutti lo salutano. Tutti lo chiamano per nome.

Sci è capace di arrabbiarsi quando lo prendono in giro. Di solito bambini delle elementari. Agita il suo inseparabile bastone. E, allora, è meglio stargli alla larga… Ma gli passa subito. E’ fatto così.

Sci è rispettoso. “Bonjour, Mon père”. “Bonjour, Madame”.

Sci è gentile. E’ pronto ad aiutarti, se ti vede al lavoro. Anche se non dura molto.

Sci ha le mani… un po’ lunghe. Tutto quello che vede, lo vuole. Ma si tratta di ben piccole cose: una scatola del tonno vuota, una bottiglia di plastica, un limone dell’albero, un quaderno…

Sci è un ragazzo libero.

Sci…  è Sci!

Sono le 7.00 del mattino. Sono già nello studio. Bussano alla porta. E’ Sci. Anche lui si è svegliato. “Mon père, mi dai 10.000F ? “No!” “Dammi 500F ” “No!” “Dammi 25F per comprare i bigné?” “Ok!” “Mon père, vai a Mogode?” “Mon père, posso salire in macchina?” La giornata è iniziata bene. Sci mi ha messo di buon umore. Oggi tutto andrà bene!

Mi ritorna alla mente un’esperienza di Jean Vanier…

Ho raccontato spesso questa storia di un uomo normale. Sapete: le persone normali sono molto tristi. Quando si è normali, si hanno dei problemi. Quando si hanno dei problemi, si è tristi. Problemi in famiglia, problemi di bambini che crescono, problemi finanziari, problemi politici, problemi di vita economica, di lavoro, problemi di ogni genere. Un giorno, il Signor Normale è venuto da me perché aveva molti problemi. Da noi c’è un ragazzo che si chiama Jean-Claude, un tipo molto calmo. Ci sono persone che lo chiamano mongoloide, ma lui è Jean-Claude. Ed è molto calmo. Scherza. Forse passa il suo tempo a scherzare un po’ troppo. Ma scherza: non gli piace molto lavorare. Viviamo insieme da 14 anni e ci conosciamo bene. Ero con il Signor Normale e bussarono alla porta. Jean-Claude entra. Scherza. Mi dà la mano. Dà la mano al Signor Normale e poi se ne va ridacchiando. E il Signor Normale si volta verso di me e dice: “Com’è triste vedere dei bambini così!” Per poter dire questo bisogna essere veramente handicappati! Era talmente accecato dai suoi progetti, dalla sua tristezza e dalle sue lacrime. Talmente accecato dai suoi pregiudizi, da non vedere Jean-Claude. Ma, dietro questa corazza del Signor Normale, c’è anche un bambino che piange, un bambino che ha paura. Se è incapace di guardare Jean-Claude è perché, da qualche parte, ha paura. In qualche modo, non osa essere se stesso. Siamo tutti questo popolo fragile.

Quando non sarò più così… Normale, penso che avrò il coraggio di aprire la porta di casa e fargli più posto…