14 novembre 2010 – INTERVISTA DON GIUSTO DELLA VALLE

Don Giusto Della Valle, sacerdote della diocesi di Como, fidei donum per tredici anni prima a Sir poi a Mokolo, diocesi di Maroua-Mokolo, Nord Cameroun. È rientrato definitivamente in Italia lo scorso 7 novembre.
Lo abbiamo incontrato all’Assemblea Missionaria Diocesana lo scorso 14 novembre a Villa Guardia.

Hai lasciato il Cameroun, dove hai vissuto per diversi anni. Qual è la situazione attuale del Paese?
Il Paese è sicuramente in una fase di stallo. Nel 2012 ci saranno le nuove elezioni, ma il fermento è poco, tutto sembra già fatto. L’attuale presidente Paul Biya (presidente dal 1982 ndr.) ha appena modificato la costituzione permettendo così la propria rielezione. Ma se anche lui dovesse mancare si è tanto insidiato nello Stato il sistema clientelare di corruzione che sarà difficile sradicarlo.

Quale Chiesa invece hai lasciato?
È una Chiesa che di fronte a queste problematiche spesso interviene in modo poco deciso. Scrive contro la corruzione e invita all’impegno e alla legalità, ma spesso si tira indietro quando c’è da denunciare le precise situazioni o le persone concrete. Si ha paura e questa paura crea immobilismo.
È una Chiesa inoltre che si trova davanti a tante sfide: è giunto infatti per lei il momento di fare un bilancio dei primi cinquant’anni di evangelizzazione. Quali frutti raccoglie? Ci sono tanti elementi nella società che potrebbero lasciare un po’ delusi.

Ad esempio?
Ad esempio la presenza ancora esigua di battezzati o di aspiranti cristiani. Ma non solo. Anche la difficoltà di vedere dei grandi cambiamenti tra i cristiani: non sono capaci di cambiare quella che è la loro mentalità, a volte di corruzione o di superstizione, alla luce del Vangelo.
E per quanto riguarda la Chiesa locale di Maroua-Mokolo, dove si trovano le parrocchie affidate ai nostri fidei donum?
La Chiesa locale è decisamente in crescita, cresce in realtà il senso di responsabilità, c’è sempre più gente capace e formata grazie ad esperienze positive quali quelle proposte dal centro Emmaus e dal centro Jerico. Anche se non sempre c’è una convinzione profonda e avvengono fatti gravi. I movimenti dei giovani sono forse quelli più in difficoltà, pochi si danno disponibili per seguirli perché sono progetti molto difficili e impegnativi.

Cosa ci puoi dire invece dell’attività nelle parrocchie che hai lasciato?
La presenza dei fidei donum sul territorio delle parrocchie di Mokolo, Mogodé, Rhumzu e Nguétchéwé è molto positiva soprattutto perché in questi ultimi anni è diventata sempre più variegata grazie alla presenza, accanto ai sacerdoti, di due vergini consacrate e di una giovane laica.
Accanto alle varie attività ognuno ha la sua specificità: don Angelo sta coordinando il lavoro di traduzione della Bibbia in Kapsiki, don Corrado segue la parrocchia, mentre don Alessandro, appena arrivato, sta conoscendo e studiando la lingua, Laura segue la pastorale degli studenti e il liceo, Brunetta e Alda sono impegnate nell’inserimento dei nuovi sacerdoti locali nella parrocchia di Mokolo e collaborano con la comunità di suore, don Felice sta avviando una nuova parrocchia con un gruppo di suore in un’area piuttosto lontana. Inoltre negli ultimi anni si è lavorato molto nell’attenzione all’handicap avviando quattro percorsi diversi: verso gli epilettici (sempre in aumento), i ciechi, i sordomuti e coloro che hanno problemi motori.

Come sono le comunità delle parrocchie?
Sono parrocchie molto generose e ben organizzate che nel tempo sono divenute sempre più autosufficienti per la pastorale comunitaria. L’esperienza delle Comunità Ecclesiali di Base è un’esperienza molto positiva che potrebbe insegnare molto alla Chiesa di Como.

Ecco, appunto, torniamo all’Italia: qual è stata l’impressione del ritorno?
È stupefacente quante domande la gente che ho incontrato in questa settimana mi abbia fatto sulle missioni diocesane. Pochissime, a volte nessuna. Sembra che non ci sia interesse verso quella che è una Chiesa sorella che ha tanto da insegnare anche a noi in Italia.

In che senso?
Appunto la realtà delle Comunità Ecclesiali Viventi o di Base può essere un esempio da applicare anche alle nostre parrocchie che tanto sembrano affaticate. Sembra che ci sia poco movimento, che tante siano le attività proposte, ma che non si privilegi quello che veramente conta, la relazione. Si dice tanto che la Parrocchia è Missionaria: questo vuol dire che si deve andare dalla gente, che bisogna mettere da parte il “venite, venite!” per privilegiare l’“andiamo”. Si parla di missionarietà della Chiesa, ma si rimane spesso sulla superficie della teoria senza toccare davvero il tessuto, la struttura delle parrocchie: occorre rendere la gente protagonista, andare, incontrare, ritrovarsi nei quartieri, nelle case, nelle strade e discutere con tutti anche delle cose pratiche, occorre fare comunità.

Tanti giovani vengono all’Ufficio Missionario chiedendo di fare un’esperienza di conoscenza in missione durante l’estate. A loro cosa puoi dire?
Dico di prepararsi bene, non solo nell’immediato, ma attraverso un cammino di fede forte vissuto nei movimenti e nelle parrocchie. Dico di guadagnarsi anche i soldi del viaggio, perché ci sia il senso della responsabilità. Dico di venire con tante domande: ci si sposta per cercare e per conoscere e quindi c’è bisogno di essere curiosi.

Un appello?
Tre: il primo è perché qualche prete si prepari alla sostituzione di don Angelo nel 2012 a Mogodé. Il secondo è per i giovani: perché magari qualcuno maturi il desiderio di andare in Cameroun per due o tre anni. Il terzo è per i Fisioterapisti: serve che qualcuno si metta a disposizione per periodi di tre o quattro mesi all’anno per dare una mano ad un centro già esistente e avviato.