15 settembre 2009, Mogodé – Camerun Primo messaggio direttamente da Mogodé

Settembre 2009.
La nuova antenna Orange di Mogode sembra una realtà. Vediamo se funziona. Se avete ricevuto questo messaggio, sappiate: è il primo nella storia che parte direttamente da Mogodé…
La pioggia si fa più rara: così, da un po’… non piove più in casa.
Quest’anno ci sono molte zanzare, anche da noi. Le conseguenze si fanno già sentire: molta gente è malata.
Le sementi portate dall’Italia sono già germogliate. La gente è ancora ben occupata nel lavoro dei campi. E’ il momento della raccolta delle patate e camion carichi di goyaves lasciano la regione per i mercati del Ciad…
Le scuole iniziate. Gli studenti partiti in città.
La vita continua. Buona vita!
 

Corrado

 

L’ospedale di Rhumzu

Chantal, Chantal, non si fa così! E’ arrivata di sera. Una delle ultime visite. Vuole parlarmi. Una ragazzina. 14\15 anni. Doveva partire per la formazione da sarta a Mokolo, ma la comunità non l’ha scelta per occupare i pochi posti disponibili. E’ preoccupata: “La mamma è ammalata. E’ all’ospedale. Abbiamo già speso 10.000F, ma ne servono ancora 15.000 per le medicine”. Il costo mi sembra eccessivo. E’ tardi. La mamma è già in cura. La rimando a casa: “Torna domani mattina presto!”
Si presenta alle 6.30, puntuale più che mai. Mi faccio raccontare ancora bene tutta la storia. “Va bene. E’ da un po’ che non visito l’ospedale. Andiamo insieme!”
L’“ospedale” è alle porte di Rhumzu. E’ stato costruito dal “Comitato per lo Sviluppo del Villaggio” e con un nostro contributo esterno. Un corpo centrale (10mx5m?), costruito in cemento: ospita l’ambulatorio, la farmacia e due camerette. Nella camera di sinistra: due letti vuoti e una donna anziana che dorme sulla stuoia per terra. L’odore è forte. La camera di destra è usata dall’infermiere di turno. Ovviamente, dottori non ce ne sono. L’ambulatorio e la farmacia sono ben tenuti.
Sul retro: 4 capanne di fango con il tetto di paglia, di circa 3 metri di diametro. La prima è la cucina. Non viene usata. Ciascuno deve arrangiarsi da casa. E’ semidistrutta. Entro nella seconda. C’è un caldo asfissiante. Al centro della capanna, il fuoco è acceso. A terra, è sdraiata una donna. Chiaramente è vicina al parto. Ha bisogno di molto caldo. Arrivato alla terza, sono accolto da due infermieri. Uno si presenta come l’analista. Siamo arrivati al laboratorio. Ci fa entrare. Il pavimento è in terra battuta. Il soffitto plafonato con sacchi di plastica per evitare la caduta di sporcizia. Al centro della sala un tavolo, una sedia, un microscopio e qualche provetta. “Manca un po’ di tutto”, mi dice.
Sono un po’ perplesso. Ho in mente diversi centri gestiti dalla diocesi, ma, nella loro semplicità, sono ad un livello nettamente superiore. “Stiamo aspettando che lo stato lo prenda in carico…”.
Mi ricordo cosa significa. Mi era arrivata una lettera di convocazione ufficiale, inviata a tutte le autorità civili, tradizionali e religiose. “La S.V. è invitata alla cerimonia durante la quale il sottoprefetto donerà solennemente medicinali per 40.000F”.
Paolo VI direbbe (più o meno): “E’ pazzesco vedere come si possa dare per carità ciò che è esigito dalla minima giustizia umana!”
L’infermiere e l’analista sono pagati dallo stato. La “farmacista” e altri due sono presi in carico dal villaggio. Li conosco. Sono della comunità. Domandano aiuto. Chiedo loro una relazione e di farmi una lista… si vedrà. E’ sempre pericoloso promettere in fretta.
Mi fermo un po’ con i bambini che attendono di essere visitati e, poi, la domanda: “E la mamma di Chantal?” Si guardano sorpresi. Verificano sul registro. Non è mai stata là.
Rientrando, al mercato, incontro Mathieu, il responsabile della comunità. Chiedo informazioni. Si prende alcuni minuti per domandare, e poi: “La donna sta benissimo. Questa mattina è partita per lavorare i campi”. Sono contento per la donna. Un po’ meno per Chantal che, nel frattempo, è sparita. Vengo a sapere dal responsabile del gruppo dei giovani che voleva scappare di casa. Era esasperata dai genitori che non le permettevano di frequentare la comunità. E’ triste. 15.000F, meno di 23 euro, per rifarsi una vita. Magari sulle strade o al mercato di Mokolo. Come Silvienne… ma questa è un’altra storia.