Carissimi,
In questi giorni in casa provinciale, dove abbiamo avuto la valutazione e la programmazione pastorale della parrocchia di Kariobangi, di cui Korogocho è parte, ho conosciuto fratel Valentino. Comboniano doc, è attualmente a Juba, la capitale della Repubblica del Sud Sudan. Un giorno, nella chiacchierata dopo pranzo, alla mia domanda: “Come va il Sud Sudan?”, mi elenca i gruppi etnici del Sud Sudan e il numero di anni che ha vissuto con ciascuna di esse, poi mi dice: “Io dico sempre ai Sudanesi: sono stato con tutti, ho vissuto tanti anni quasi con ogni gruppo etnico, e sono tutti bravi. Mi sono trovato sempre bene con tutti! Vogliatevi bene, rispettatevi, perché siete tutti bravi”. Poi mi guarda negli occhi e mi dice: “Sì, perché se continuiamo a cercare il male, a sottolineare i problemi, non ci salviamo più. Bisogna dire che siamo tutti bravi”. Grande, no? Ah, dimenticavo: fratel Valentino ha 90 anni, e ne ha passati 63 in Sud Sudan.
Questo ottimismo di Valentino è stato un bel segno in questi giorni di valutazione e programmazione. Sono stati giorni importanti, ai quali ha partecipato tutto il pastoral team della parrocchia: p. Paolino, parroco, p. John Bosco, p. Paul Nyahanga – questi sono a Kariobangi; p. John e io, a Korogocho; le suore comboniane Rosa e Manna, e due suore messicane, Teresa e Luz, della congregazione Serve della Parola, presenti in parrocchia da sei mesi. Una bella condivisione, riflettendo su quanto le piccole comunità cristiane di ogni zona della parrocchia ci avevano fatto avere come loro valutazione, e cercando di guardare avanti a un futuro pieno di sfide e di opportunità. La situazione è veramente complessa, ci sentiamo veramente in una fase di transizione per tanti aspetti: ecclesiale, perché la chiesa locale vuole essere sempre più protagonista, giustamente; economica, perché le fonti si sostegno alla missione che c’erano una volta si vanno pian piano esaurendo, sia per la crisi economica mondiale, che per il cambio generazionale e di geografia vocazionale; socio-politico, perché pur con la nuova costituzione, il Kenya politicamente e socialmente non riesce ancora a spiccare il balzo in avanti necessario al cambiamento e si ritrova un’inflazione quadruplicata dall’anno scorso; educativo, perché per i giovani ormai la scuola primaria e secondaria non bastano più, ma nessuno, o quasi, ha i mezzi per affrontare college o università… E tanto altro. Potete aggiungere l’aggressività mussulmana che pare davvero miri alla “conquista” di tutta l’Africa dell’Est, per poi diffondersi in tutto il continente. Aggiungete anche che il Kenya, in questo momento, è un Paese in guerra: le truppe kenyane, in accordo con il governo somalo, sono entrate in Somalia per mettere fine al gruppo terrostico somalo Al Shabab, legato ad Al Qaeda.
Tutto questo contribuisce alla complessità della realtà dove viviamo e operiamo. Ma tante sono le opportunità e i punti di forza, che abbiamo voluto elencare proprio alla fine di questi giorni insieme: la nostra internazionalità e i doni di ciascuno di noi; la gente stessa che vive con noi e che vogliamo aiutare nel cammino di fede e di vita; il desiderio sincero di Dio; l’impegno discreto e costante di tanti che collaborano con noi nelle attività pastorali; i risultati visibili in ogni attività che intraprendiamo. E quindi non molliamo, continuiamo a crederci, caparbiamente come faceva il Comboni e come fa tantissima nostra gente, sempre maestra di vita e di speranza.
Già, la speranza. Stiamo arrivando a dicembre che per noi a Korogocho e Kibiko, è il mese del “ritorno a casa” dei ragazzi di strada, ormai riabilitati, che sono stati nei nostri centri per tutto questo anno. Una fase indubbiamente molto delicata, di continui incontri e dialogo serrato con le famiglie per capire dove il ragazzo andrà ad abitare, con chi, e dove studierà. I genitori, cioè quasi sempre la mamma, sono sempre un po’ restii, titubanti, non per malavoglia, ma proprio perché sono consapevoli di tutta quella complessità di cui sopra. “Ce la faremo? Ce la farà mio figlio? Saprò aiutarlo? E come?”. Ma è comunque un passaggio obbligato per testare la solidità della riabilitazione avvenuta, sia nel ragazzo che nel genitore. Mercoledì scorso ero a Kibiko e durante la Messa di ringraziamento per il compleanno di Anastasia, la coordinatrice, i ragazzi hanno deposto sull’altare i loro biglietti con scritto le loro paure e i loro desideri, cioè la loro speranza. Mi hanno chiesto, un po’ vergognosi, di non leggerli ad alta voce davanti a tutti, cosa alla quale ho ovviamente ubbidito. Me li sono letti a casa, da solo, in un momento di preghiera: nel loro kiswahili storpiato (i tanti anni in strada si sentono anche nella grammatica…), hanno espresso paure e sogni, riguardanti soprattutto le loro famiglie: “Signore, aiutami a non ricadere in cattive compagnie. Signore, fa’ che mio papà smetta di bere. Signore, fammi passare gli esami. Signore, aiutami a continuare su questa strada…” Il sogno di una vita buona, bella, piena. È il sogno nel cuore di ogni persona, se ha il coraggio di scoprirlo e dargli voce. È senz’altro il sogno del nostro Dio, almeno del Dio in cui credo. È la speranza che ci muove, che diventa obbiettivo di vita.
Guardo alla situazione mondiale, alla crisi economica che sta distruggendo famiglie e nazioni. In che cosa speriamo? Che cosa ci sta muovendo? Mi pare, da totale incompetente che sono, che le scelte politiche ed economiche dei “grandi” della terra siano più un cercare di tornare indietro, un riaggiustare quello che si è rotto, senza voler capire che si è rotto perché doveva rompersi. Non abbiamo la capacità, o forse non lo vogliamo proprio fare, di guardare oltre, di provare altre strade. Prendere la strada inesplorata, a volte, fa la differenza. Gli indignati sono un’altra voce che si alza per dire “Basta! Cambiamo strada”, e noi li sgomberiamo come elementi di disturbo. Anche Obama si è ritrovato invischiato in questo gioco, e forse non poteva essere diversamente perché “difendere gli interessi americani” può solo voler dire rimettere in piedi il sistema. Scrivo nella serata in cui Monti ha giurato con i suoi nuovi ministri: aria nuova, tanta speranza, e gioisco anch’io, almeno abbiamo fatto un passo fuori dal pantano. Senonché leggo che Monti è anche international advisor (consigliere internazionale) della Goldman Sachs (oltre che della Coca Cola), una delle maggior banche d’investimento al mondo, e uno dei maggior responsabili della crisi del 2008, con tutta la speculazione dei mutui subprime. Mah! In che cosa speriamo? Dove stiamo andando?
Torniamo a Korogocho. Settimana scorsa, a St. John, ci sono stati gli esami di fine scuola primaria (elementare). Nella nostra scuola vi hanno partecipato le nostre due classi ottave, e altre quattro classi di quattro scuole primarie di Korogocho. La nostra scuola è “sede d’esame” per altre scuole più piccole di Korogocho, quindi la nostra preside diventa responsabile anche dei loro esami. Aspettiamo adesso i risultati, con un po’ di tremore, devo ammetterlo, perché, pur avendo quest’anno un paio di alunne davvero brave, il livello accademico della nostra scuola è un po’ calato. Nella valutazione che farò, insieme a p. John, con ogni singolo insegnante, dovremo poi prendere delle decisioni per riorganizzare il lavoro accademico e ritornare ai livelli di un paio d’anni fa. Anche qui si vede come gestire una scuola diventa sempre più complesso, e le sollecitazioni cui sono sottoposti gli alunni sono sempre maggiori e sempre più forti. Per questo, il livello di qualità non può diminuire, anzi. Una possibile risposta, non l’unica ovviamente (ci vuole anche la professionalità degli insegnanti, l’incidere sulle loro motivazioni, la formazione dei genitori…), è l’estensione e il potenziamento della biblioteca di St. John. È un’altra speranza, un altro sogno che forse si potrà realizzare l’anno prossimo: costruire il secondo piano della biblioteca, creando un’altra sala lettura e un piccolo centro di documentazione gestito dal Kutoka Network, la rete di parrocchie presenti negli slums. Investire nella biblioteca significa investire nella qualità dello studio, quindi crediamo possa portare buoni frutti: speriamo! Tra l’altro questo è uno degli aspetti presenti nel piano di sviluppo della scuola per i prossimi sei anni, preparato quest’anno dai nostri insegnanti durante una serie di seminari: sappiamo bene dove andare, dobbiamo solo cercare i mezzi che ci possano portare là. E che questa estensione sia necessaria lo dicono anche i numeri: da gennaio a ottobre, oltre sessantamila (sic!) “utenti”, da una trentina di scuole di Korogocho e dintorni.
Un abbraccione enorme a tutti.