17 dicembre 2011, Korogocho – Nairobi – Kenya Progetti e speranze nel nuovo Natale

 

“Ti abbiamo creato per condividere con Noi la nostra Vita. Ma poi Adamo scelse di andare per conto suo, come sapevamo che avrebbe fatto, e tutto prese un’altra piega. Ma invece di cancellare tutta la creazione, ci siamo rimboccate le maniche e ci siamo gettati nella mischia – questo è quello che abbiamo fatto in Gesù”
(da “Il rifugio”, di William P. Young)



La situazione mondiale sembra davvero una mischia colossale, della quale non si intravede né capo né coda, in cui tutti cercano di salvarsi come possono, o tirando cazzotti a destra e a manca, oppure aggrappandosi al primo che capita a tiro, nella speranza che, almeno lui o lei, non affondi. E sì che ce lo ripetono, ormai già diversi anni fa: gli addetti ai lavori, quelli dentro le faccende economiche ma con un cuore solidale, ci avevano avvisati a più riprese, come tante Cassandre: il sistema, così com’è, non può reggere. Qualcuno usava l’immagine biblica del profeta Daniele, la famosa statua dai piedi di argilla: crollerà tutto, dicevano. E noi – noi? – avanti, imperterriti, a goderci l’ultimo sole su una spiaggia minacciata dallo tsunami.

E lo tsunami è arrivato. Ma non è, attenzione!, una catastrofe naturale, né un castigo divino per la nostra durezza d’orecchi e di cuore. È invece il frutto di macchinazioni diaboliche, chiare, precise, pianificate nei minimi dettagli, che hanno portato alla morte di milioni di persone (sì, morte, perché che vita è se non hai un lavoro, né la speranza di un lavoro; se il fatto di ammalarsi diventa un ostacolo insormontabile; se ogni giorno che passa senti le forze diminuire e il mal di stomaco crescere per lo stress…?). “L’uomo stesso ha preparato all’uomo questo destino”, si legge all’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz, e lo stesso si può dire di questa crisi mondiale. Solo che i colpevoli di oggi ancora mangiano e brindano indisturbati, anzi, ancora vengono chiamati a dirigere e a dare consulenze, etichettati come salvatori del mondo. O almeno del proprio Paese.
La cosa più grave di tutte è che ancora adesso, nonostante tutto quanto sia successo negli ultimi tre anni, ancora non riusciamo a capire che il sistema è morto, collassato sotto l’ingordigia e la cupidigia di pochi. Ancora sogniamo di tornare indietro come ai vecchi tempi, magari indietro fino ai dorati Anni Ottanta. Potessimo fermare il mondo, farlo rigirare su di sé e tornare a permetterci i piccoli lussi di un tempo! È quello che vogliamo?
La crisi globale vista da Korogocho forse ha un’altra angolatura, altre sfaccettature. Nessuno parla di spread né di bonds, nessuno chiede come ha chiuso la Borsa. Ma tutti sono preoccupati perché i prezzi dei beni primari di sopravvivenza (farina, zucchero, kerosene per cucinare…) sono più che raddoppiati dall’inizio dell’anno. Chi aveva qualche soldo e poteva dare lavoro a giornata ad altri, adesso non ha più soldi e quindi il lavoro non lo dà più, e tanti rimangono a secco. La differenza è che rimanere a secco qui significa andare a letto senza cena. A Korogocho si volteggia sui trapezi della vita di ogni giorno senza rete di protezione: se manchi la presa, o se qualcuno si attacca al trapezio prima di te, cadi, e ti fai male. La situazione è tragica, davvero durissima per tanta, troppa gente. Ogni giorno passo ore ad ascoltare, impotente, la cantilena delle richieste di aiuto: “il padrone di casa mi ha messo il lucchetto alla porta perché non ho pagato gli ultimi due mesi”, “mia figlia è stata mandata via da scuola perché non ho pagato l’ultima rata”, “mia moglie è bloccata in ospedale, benché guarita, perché non ho i soldi per pagare il conto”, “ieri sera i miei bambini mi hanno chiesto: Mamma, dormiamo e basta? E io ho detto: Sì, bambini, dormiamo e basta, non c’è niente da mangiare… Domani il Signore ci aprirà una strada”. Ma quanti sono, mi chiedo sfinito…e la cantilena continua. Ricordo l’immagine che Alex usava, dicendo che sentiva dentro le sue viscere il dolore di questa gente, la propria impotenza… non ero mai riuscito a capirla fino in fondo, questa immagine: adesso so cosa vuol dire.
E i colpevoli si abbuffano e danno consulenze. E noi li chiamiamo salvatori.
Ma, grazie a Dio, Dio si è buttato pure Lui nella mischia, a forza del Suo Nome: Emmanuele, Dio-con-Noi. Se c’è Lui nella mischia, allora forse c’è speranza, forse si può ancora sognare qualcosa di bello, di grande. Sognare ti dà coraggio e ti aiuta a guardare al di là della mischia. Come Dorcas, una ragazza che sta finendo l’anno al Boma Rescue Centre. Vuole andare avanti a studiare, alle superiori. “Chi vuoi diventare, cosa vorrai fare?”, le ho chiesto oggi, durante la festa di Natale al centro. “Innanzitutto voglio metter su un centro come questo, e poi iniziare un salone di parrucchiera tutto mio”, mi risponde sicura e sorridente. “Come farai a gestire le due cose insieme?”, la punzecchio. “Al centro darò da lavorare ad altri, io porterò avanti il salone e potrò così anche finanziare un po’ il centro”. Poi mi guarda e mi dice: “Quest’anno è stato importantissimo per me, non potrò mai dimenticare il bene che ho ricevuto e quindi devo ridarlo, in qualche modo”. È davvero Natale, penso tra me, Dio nasce ancora, ci crede anche questa volta.
Un’altra ragazzina, molto più piccola di Dorcas, mi rincorre per darmi la notizia: “Ho passato l’esame per la scuola, andrò alla scuola Jirani (che in kiswahili significa “il vicino, il prossimo)”. La scuola è al di là della recinzione del Boma Rescue Centre, in direzione della discarica; non cambia il posto, per questa ragazzina, ma cambia totalmente la sua prospettiva di vita: “andrò a scuola!”. È Natale.
Gli otto uomini in riabilitazione a Kibiko hanno terminato il loro cammino domenica scorsa e sono rientrati nel consorzio umano. Per diversi di loro la ricongiunzione familiare è stata sofferta, ma vera: una riconciliazione non scontata, ma che è arrivata per la tenacia dei social workers che hanno intessuto questa tela per mesi. Fratelli che non si parlavano più e che ora si sono riabbracciati; mamme che davano il loro figlio per morto, e che gridano al miracolo, con le lacrime agli occhi… E la gente di St. John, durante la Messa di domenica scorsa, che guardava incredula alle stesse persone che era abituata a vedere perdute nell’alcool, a volte addirittura stravaccate sull’asfalto della strada. È Natale di Vita, di resurrezione.
Ed è qui, proprio qui a Korogocho, nel bel mezzo della mischia, che inizio pian piano a credere – forse perché è Natale – che la nostra è una crisi economica e finanziaria, ma non di umanità. Noi uomini e donne del ventunesimo secolo abbiamo ancora un sacco da dare in termini di umanità, generosità, bontà; possiamo ancora scavare dentro di noi e scoprire tesori incredibili che la tecnologia e il “profitto-pensiero” hanno cercato di spegnere a più riprese. Non ce la faranno mai, l’umanità ha sempre dimostrato di avere risorse incredibili e insperate per risollevarsi e ripartire, meglio di prima. E questo non è ottimismo naive, è semplicemente la conseguenza della nostra fede nell’Incarnazione: Dio si è gettato nella mischia e ci vuole salvare proprio da lì.
Condivido con voi una piccola perla di Origine: “Il Salvatore ha subìto le nostre passioni prima ancora di soffrire la croce, prima ancora di essersi degnato di prendere la nostra carne: perché se non le avesse subìte dapprima, non sarebbe venuto a partecipare alla nostra natura umana. Prima ha sofferto, poi è disceso e si è manifestato. Qual è questa passione che dall’inizio egli ha subìto per noi? È la passione dell’amore. Ma il Padre stesso, Dio dell’universo, lui che è pieno di longanimità, di misericordia e di compassione, non soffre forse in qualche modo? O forse tu ignori che, quando si occupa delle cose umane, egli soffre una passione umana? Infatti ‘Il Signore tuo Dio ha preso su di sé i tuoi modi di vivere, come colui che prende su di sé suo figlio’ (Dt 1,31). Dio prende dunque su di sé i nostri modi di vivere come il Figlio di Dio prende le nostre passioni. Il Padre stesso non è impassibile! Se lo si invoca, egli ha misericordia e compassione, egli soffre una passione d’amore, si immerge in sentimenti che non può avere secondo la grandezza della sua natura e prova a causa di noi passioni umane”. Cosa volgiamo o pretendiamo di più dal nostro Dio, per credergli, come Lui crede a noi?
Qualche notizia spicciola.

  • Dicembre è stato il mese del ritorno a casa per tanti ragazzi dei nostri centri, a Korogocho e a Kibiko. A gennaio tutti loro continueranno in diverse scuole, oppure in altri centri di riabilitazione. Distribuire in scuole e centri circa 120-150 ragazzi/e – e questo ogni anno – non è cosa da poco. Ben più che i costi delle rette scolastiche, la cosa più impegnativa è soprattutto il camminare con le famiglie, dando loro sicurezza da una parte, ma anche stimolandole con fermezza a fare tutta la loro parte.
  • Dicembre è anche il mese di vacanza – chiusura totale – della scuola di St. John. Abbiamo fatto tanti lavori di manutenzione (imbiancatura delle aule, riparazione dei banchi e delle cattedre, copertura del tetto là dove le lamiere facevano acqua…). Anche qui l’impegno è stato notevole, ma andava fatto. A gennaio chiederò ad un fratello comboniano architetto di disegnare un progetto complessivo del “futuro” della scuola, con i vari interventi che vorremmo fare, e le varie fasi di realizzazione. Prevediamo l’abbattimento di due ali della scuola (ancora fatte di terra e legno, ormai decrepite) e la costruzione di due piccole palazzine a due piani; la costruzione – interrata – di una grande tanica per la raccolta dell’acqua piovana; la sistemazione dei servizi iginici maschili. Il tutto ovviamente distribuito nel tempo, sull’arco di diversi anni, a meno che non vinceremo al totocalcio.
  • Il progetto dell’innalzamento della biblioteca, invece, dovrebbe iniziare già l’anno prossimo, anche grazie alla generosità di tante persone. A questo proposito vi segnalo che a Caccivio (Como), dal 4 all’8 gennaio, le amiche e gli amici dell’associazione Interragire organizeranno una mostra sulla scuola di St. John e una vendita di oggetti proprio per raccogliere fondi per questo progetto. Grazie a tutti loro! Sarà presente anche Kevin, un carissimo amico di Korogocho, nostro vicino di casa, che attualmente si trova in Italia per un mese: finalmente Korogocho parlerà di Korogocho, senza troppi filtri.
  • Il prossimo gruppo di alcolisti che andrà a Kibiko (seconda metà di febbraio 2012) potrebbe comprendere anche due o tre ragazzi “grandi” di strada, sniffatori di colla e raccoglitori di rifiuti. Se la cosa funziona e riusciranno a finire la riabilitazione, saranno gli apripista per un piccolo progetto che inizieremo come Napenda Kuishi, proprio per questi ragazzi grandi. Oltre alla riabilitazione, vorremmo riuscire a far partire una piccola produzione di sapone e di candele, aiutati da alcuni della comunità di St. John e da ex-alcolisti ormai pienamente riabilitati. Se Dorcas crede pienamente al suo centro futuro, perché noi non dovremmo credere a questo ulteriore sviluppo degli obiettivi del Napenda Kuishi Trust?

È tutto. É Natale. Dio, che ancora una volta si fa uno di noi, semplicemente perché continua a credere in noi, ci costringe a rimboccarci le maniche e a gettarci nella mischia. Magari distribuendo non cazzotti, ma carezze e sorrisi. Forse che così il mondo cambierà davvero?

Buon Natale, e un Anno di Grazia del Signore.

p. Stefano Giudici