24 ottobre 2010, Bouar – Repubblica Centrafricana Cinquanta Anni per la parrocchia di Fatima Bouar

 

1960-2010,
cinquant’anni sono passati dall’inizio della Missione dedicata alla Madonna di Fatima, a Bouar, da cui prende il nome la Parrocchia dove lavoro dal 1996 e di cui sono parroco dal 1998. Tanti o pochi? Per una realtà africana è già una storia che si scrive e che vuole anche continuare.
Abbiamo ricordato e festeggiato questa ricorrenza proprio in questi giorni, dal 21 al 24 ottobre. Veramente durante tutto l’anno 2010 abbiamo sottolineato questa scadenza con differenti iniziative: ogni mese una riunione nelle comunità di Base di formazione su differenti temi suggeriti dall’ultimo sinodo dei vescovi africani a Roma e ci ha anche permesso di creare un fondo economico per meglio festeggiare  proprio questa scadenza. Abbiamo inaugurato una cappella in una comunità di base che raggruppa le attività dei vari gruppi movimenti di tre quartieri. Quella di questi giorni è stata la tappa finale.
Il tema che ci ha fatto da guida è stato una frase del Sinodo sull’Africa: Persone di fede di Fatima siamo testimoni di Cristo, del perdono, della giustizia, della pace.
Abbiamo iniziato con ripercorrere le  tappe delle nostre radici: ci hanno offerto le loro testimonianze il primo parroco P. Valentino, cappuccino, che dal 1962 all’83 ha guidato questa comunità, accompagnato da un arzillo vecchietto di circa ottant’anni, un catechista. Anche qui in Africa il tempo scorre,  le cose cambiano, si evolvono. Inizi difficili, semplici, dove tutto girava intorno alla persona carismatica della guida.
I giorni seguenti ci hanno visti impegnati nel cercare di comprendere un po’ il tempo in cui viviamo e cercare il modo di essere presenti e attori attivi, testimoni. Il tema della famiglia oggi come luogo della crescita fiduciosa e sana di relazioni mature uomo-donna speranza per una crescita nuova dei bambini dei ragazzi e dei giovani. Una grande sfida da raccogliere e alternativa ad una società che rischia di rimanere senza radici e quindi senza avvenire.
Il terzo giorno ci siamo interrogati su come essere presenti nella società attuale: sono passati cinquant’anni anche dalla dichiarazione di indipendenza della repubblica centrafricana. Un esperto ci ha aiutato a ripercorrere la storia del paese, in particolare gli ultimi vent’anni i più difficili, segnati da insurrezioni militari, un colpo di stato, brigantaggio diffuso in gran parte del paese, corruzione, soperchierie, instabilità che hanno reso e continuano a rendere difficile la vita della popolazione. Possiamo essere testimoni di pace e di giustizia senza lasciarci ingoiare da questo circolo vizioso e brutale? Quante domande sono uscite in quegli spazi in cui abbiamo cercato di liberare la parola di chi queste situazioni continua a subirle sulle strade, nei luoghi dell’amministrazione pubblica, nella gestione delle proprie attività. Tutti abbiamo costatato che abbiamo la nostra parte di responsabilità e alle volte siamo allo stesso tempo oggetto e soggetto di ingiustizia e sofferenze. Abbiamo affrontato la delicata questione della situazione  della donna nella società e nella famiglia specie nel retaggio tradizionale che se da un lato la mette in una posizione di privilegio per essere madre, dall’altra rischia di essere “mercificata” in momenti cruciale della vita, per la tradizione che chiede a chi la chiede in sposa una dote che poi in contraccambio rischia di essere resa “proprietà” di chi la prende in moglie. O in ricorrenze come la morte del coniuge in cui difficilmente può fare valere dei diritti anche sui figli o dei beni per il sostentamento dei figli.
Nel dialogo e nelle domande intessute riguardo a queste situazioni traspariva tutta la fatica, la sofferenza a volte la resa di chi si trova a subire queste situazioni.
Il sabato mattina l’abbiamo riservato alla rivisitazione e  purificazione della memoria personale, passata attraverso il dono del perdono infinito di quel Padre Buono che continuamente ci rialza  e ci vuole rimettere sul cammino della libertà e della gioia.
Il pomeriggio già sentiva di aria di festa, il gruppo vocale ha allietato con musica e canti  bambini ragazzi giovani e adulti che quasi inavvertitamente e spontaneamente seguivano la musica  a passo di danza africana o alle volte solo con un accenno volteggiante di mimica.
Appena accanto il solito sfortunato delle feste metteva a disposizione le sue carni per allietare il cinquantesimo compleanno della parrocchia, e un discreto numero di donne iniziava a trafficare intorno a delle grosse pentole appoggiate semplicemente su tre sassi a fare da fornello.
L’unico  dilemma era se preparare o no tutti banchi della chiesa e quelli del salone all’esterno per la messa di oggi. Il cielo non prometteva bene quindi si è optato per rinserrarci tutti in chiesa. Scelta che col senno di poi si è rivelata sbagliata perché oggi abbiamo goduto di una splendida giornata. Gli unici soddisfatti sono stati i giovani che si sarebbero dovuto incollare tutto il lavoro di trasporto dei banchi all’esterno e poi rimetterli a posto una volta finito tutto.
La messa di oggi era prevista per le 8.30 e il mio bel pensiero sabato sera prima di addormentarmi è stato che avrei potuto alzarmi non prima delle sette con ben due ore di sonno più del solito da gustare, ma ahimè, da queste parti i parroci hanno vita dura, alle 5.45 i più solerti hanno pensato bene di bussare alla porta per preparare la chiesa e  io ho rinviato a data da stabilire l’abbondante riposo pregustato.
Primi i bambini hanno cominciato ad affollare i banchi della chiesa e pian piano tra i banchi non c’era più posto, ma si sa in Africa c’è sempre posto e all’inizio della messa registriamo il tutto esaurito. Alcuni per assicurarsi il posto a sedere, non pochi, si sono portati la sedia da casa.
Tre ore abbondanti di messa. Canti, danze, gesti simbolici, come quello dell’accensione di 50 candeline segno dei 50 anni passati, e il rito animato di ogni parte della cerimonia hanno manifestato la gioia di una chiesa colma di persone che vuole esprimere e sentire il senso di stare insieme, cercare protezione e speranza sotto lo stesso tetto e nella stessa comunità chiamata “di Fatima”.
Erano presenti oltre una dozzina di preti di differenti colori e provenienza, vecchie guardie e nuove leve segno di continuità e stessa appartenenza. Anche diverse autorità civili hanno accolto il nostro invito ad essere con noi.
Momento importante è stato il pranzo che ha seguito la messa. Oltre duecento persone hanno aderito a questo momento. Pasto semplice, a base di manioca, riso, verdure e il solito vitello, ma l’essenziale è stata la gioia di sentirci insieme. Per terminare due belle partite di pallone: una tra donne e una tra ragazzi.
Tutta la parrocchia era presente a questo momento di festa.
Riflessioni, preghiere, ascolto, canti e danze e condivisione di pasti comuni hanno segnato questa ricorrenza. Da domani ricominciamo o meglio continuiamo una storia iniziata 50 anni fa. Una storia intessuta di slanci e di resistenze; di coraggio e di paure; di desiderio di migliorare e stagnazioni. Di gioie e di lotte; di fatiche e di soddisfazione; di speranze e a volte di sfiducia. Quello che è certo è che non si tratta solo di progetti che hanno origine solo a partire da calcolo umano o da analisi di tipo sociali o ideologiche, o di sogni, ma il seme gettato in passato e che continua e nutrire l’andare e il rimanere vuole essere la speranza riposta in una persona che vuole e può raggiungere il fondo del cuore del mondo, della Vita, aprirla al suo senso ultimo e pieno, che nasce ed è raggiunta dal mistero di Dio.

p. Beniamino