26 agosto 2011, Korogocho – Nairobi – Kenya Luci nel Buio!

Carissimi,

davvero non oso nemmeno guardare indietro a vedere quando ho scritto l’ultima volta… E’ passato tanto tempo, lo so, tempo pieno per me, per noi e sicuramente anche per voi. Abbiamo camminato tanto, sono successe tante cose, tante persone incontrate, ascoltate, in qualche modo aiutate. Certamente tante persone hanno aiutato me, in tantissimi modi, tant’è che cresco, giorno dopo giorno, nella convinzione sempre più profonda che davvero Dio non ci abbandona mai, trova sempre qualche strada, o sentiero, per farmi, farci sentire la Sua presenza e dirmi, dirci la Parola di sempre: “Coraggio, non temere, sono con te”. Che poi non è nient’altro che il suo nome, Emmanuele, Dio-con-noi.
Gli ultimi mesi sono stati pieni di incontri con persone e gruppi che sono passati da Korogocho: i miei genitori e i miei zii, e poi scuole, amici, scouts, persone sconosciute prima che poi sono diventate amiche. Ci interroghiamo sempre su queste presenze, cerchiamo di discernere le loro motivazioni (che sono le più svariate), ma alla fine la porta si apre sempre e il racconto di quello che viviamo a Korogocho continua. Sì perché, in fondo, chi sono io per dire di no? Non sono il proprietario di Korogocho, nemmeno il gestore. Non posso nemmeno pensare di capire le motivazioni che portano un gruppo di giovani a voler vedere una realtà come quella di uno slum africano, né tanto meno prevedere cosa succederà nei cuori e nelle vite di queste persone che per qualche ora, per qualche giorno o per qualche settimana hanno voluto condividere con noi questa realtà. Racconto la vita di un missionario a Korogocho, cerco (ma è molto più difficile) di raccontare la vita della gente che a Korogocho ci abita da sempre, e poi lascio che il seme gettato germogli. Come e quando non lo so.
E quindi mi sento di ringraziare tante persone che sono passate di qui in questi mesi: Detta, Dani e Chiara, che hanno fatto una bellissima esperienza vivendo non con noi preti (!!), ma con Wilkister, una giovane di Korogocho, e quindi hanno avuto la grazia di vedere Korogocho con altri occhi; Claudia e il suo gruppo di “Maturi per l’Africa” che hanno visitato Korogocho durante un’esperienza a Mathare, un’altra baraccoppoli di Nairobi; Marino e i suoi amici di Mani Tese, gente solida che sa quello che fa e quello che cerca; gli scouts di Matteo e Giulia, due volontari che al momento vivono nella comunità di Papa Giovanni XXIII, in ricerca di un loro futuro; il grande amico Roberto con il suo gruppo, di base a Tone la Maji (un altro centro per bambini di strada), ma il cuore sempre a Korogocho… E la lista potrebbe continuare. Chiedo al Signore, che vi ha fatti arrivare qui, di continuare a guidarvi dove Lui vorrà; e chiedo per voi la docilità a seguirlo.

Uno che viene a Korogocho capisce abbastanza in fretta che non è il vedere la sfida più grande, ma l’ascoltare. Ascoltare le storie e i rumori, le risate dei bambini e le grida notturne delle liti familiari, i sogni dei genitori per i loro figli e figlie e le loro paure di non farcela a farli crescere. E trasformare questo ascolto continuo in preghiera. Christine Shine, un’attivista contemplativa (come si definisce) americana, invita ad ascoltare, ma attivamente, cioè già con l’intenzione di agire concretamente. Il primo passo – dice – di questa azione che spesso ci appare così impossibile e fuori dalla nostra portata, è quello di scoprire come Dio sta già agendo in quella situazione che stiamo ascoltando. Ovvero: scoprire tutte quelle persone che stanno già agendo in quella situazione. Questo dà fiducia, sollievo, coraggio, e ci aiuta a fare il salto dall’ascoltare-vedere al fare. Amici e amiche: forza, e auguri!
Torniamo a Korogocho: ormai da più di un mese e mezzo siamo senza corrente elettrica. Viviamo a lume di candela e lampade a petrolio, e, udite! udite!, riusciamo a fare tutto quello che facevamo prima con la corrente (salvo dover andare di tanto in tanto in parrocchia a ricaricare il telefono, o spedire qualche mail). Ci si adatta a tutto, e si scopre che quello che ritenevamo assolutamente indispensabile, non è poi così indispensabile. Grazie a Dio almeno l’acqua arriva abbastanza regolarmente, perché si può stare senza luce, ma senz’acqua è davvero un problema. Per una decina di giorni c’è stata crisi d’acqua, e allora si vedeva la processione di gente con il loro bidone in testa a iniziare il lungo pellegrinaggio alla ricerca del punto di vendita più vicino. Davvero ci si accorge come sia l’acqua la fonte della vita, è la base di tutto, e quindi grazie a Dio abbiamo scelto di non privatizzarla.
Il vantaggio del buio è quello che ti aiuta a notare meglio i piccoli bagliori di luce che sono attorno a te. Se accendo una candela nel centro di Nairobi probabilmente nessuno la noterebbe, ma se l’accendo nella notte di Korogocho, allora fa la differenza. La notte continua a Korogocho, non posso negarlo, né far finta di niente. I problemi ci sono ancora tutti, e si aggiunge la fatica immane della gente a comprare da mangiare, visto che i prezzi dei beni alimentari sono molto più che raddoppiati. Eppure il Signore ci benedice con queste piccole candele, segnali di luce, di Vita, che illuminano, scaldano e indicano il percorso.
Una sera tardi, era già buio appunto, bussa alla nostra porta una ragazza. Anche nel buio si vede che è giovanissima, ed è fatta di MC, cioè il kerosene sniffato da uno straccetto che tiene sotto il naso. Elizabeth, si chiama, ma tutti la chiamano Shiko. Mi chiede di aiutarla, l’ascolto, inizia il suo racconto. Era stata al Boma Rescue tanti anni fa, poi aveva finito la scuola a St. John e iniziato un corso per parrucchiere. Durante uno dei mesi di vacanza è rimasta incinta e non è più tornata a scuola. Adesso ha una splendida bambina ma è tornata sulla strada. Del padre della bimba, ovviamente, nessuna traccia. Le dico che adesso è tardi e soprattutto non è molto in grado di parlare; la invito a tornare il mattino seguente, ma le chiedo un gesto per dimostrare la sua volontà a cambiare: “Torna a casa, riposati, ma lascia qui lo straccetto imbevuto di kerosene…”. E lei lo lascia. Torna il mattino dopo e altre mattine ancora; conosco la sua bambina, la metto in contatto con Jane, una nostra cristiana, donna incredibile, temprata anche lei dalla vita di Korogocho. Insomma abbiamo aiutato Shiko a iniziare un piccolo “business” di frutta e verdura. Dopo un paio di settimane è tornata, “pulita”, gli occhi scintillanti: “Adesso abito in una casa mia!”, mi dice. E vuole fare la carta d’identità, ma avrà diciotto anni solo a dicembre. Jane la sta seguendo, e dice che va bene. Questa piccola luce mi ha illuminato e riscaldato per tante giornate.
A metà luglio, con tutti i social workers dei nostri progetti, siamo andati tre giorni a Naivasha: un misto di gita, relax e valutazione. C’era anche George, un nostro collaboratore nel programma per gli alcolisti. L’anno scorso si era ammalato gravemente, ne era venuto fuori, ma proprio nei giorni a Naivasha ha iniziato una ricaduta dalla quale non si è più ripreso: è morto il 28 luglio. Come progetto abbiamo aiutato la famiglia a organizzare il funerale. Il 12 agosto abbiamo fatto la Messa in strada a Korogocho, davanti alla sua bara. Eravamo di fronte al Centro Ushirikiano (Solidarietà), dove tre volte alla settimana si ritrova il gruppo degli alcolisti. La strada era piena di gente, alcuni ubriachi, altri sobri, altri metà e metà. Tutti comunque coscienti di quello che stava accadendo, tutti volevano pagare il loro tributo e ringraziare Dio per George, il loro “mwalimu”, maestro. “Lui era il nostro maestro, lui era uno di noi”, era il ritornello nelle preghiere un po’ storpiate di questa gente. All’inizio della messa, durante il canto iniziale, li guardavo, e mi sono davvero commosso. Non solo per George, ma per loro, per questa gente, uomini e donne, distrutti o quasi dall’alcool, che sanno però riconoscere chi è dei loro. Hanno un senso di appartenenza straordinario e sanno riconoscere chi è lì per loro e con loro. Non c’è molto da pensare quanti di loro riusciranno a vincere l’alcolismo, ma una cosa è certa: la relazione con George aveva già cambiato la loro vita, qualcosa era già accaduto e continuava ad accadere. Nel buio dell’alcolismo (che è una cosa terribile ovunque), si è accesa la candela di George che camminava su è giù per quella nostra strada ed era conosciuto da tutti. Anche lui veniva da un passato burrascoso, e i nostri social workers che sono andati a Kisumu per il funerale, hanno potuto portare la testimonianza che anche George era cambiato, qualcosa di grande era accaduto nella sua vita ed era rinato. La gente del suo villaggio ascoltava incredula, ma alla fine ha accolto la loro testimonianza.
E via, di questo passo, a lume di candela. Sono tante le candele accese, sono tanti quelli che si fanno in quattro per mantenerle accese. Bisogna crederci, sempre. I progetti vanno avanti, in mezzo alle solite difficoltà, a volte economiche, altre volte di programmazione, altre volte perché semplicemente, di fronte a questo o a quel caso, non si sa proprio che pesci pigliare. Quando mi prende un po’ il panico o mi preoccupo eccessivamente, c’è sempre Raymond, il coordinatore del programma per gli alcolisti, che nella sua profonda saggezza e calma africana, mi rincuora e mi apre prospettive diverse: la persona al centro, mai il progetto. E se la persona ha bisogno di anni, e non di mesi, allora cammineremo con lei per anni. Semplice no?
E lo stesso lo fa Jane, un grande aiuto per me. L’ho fatta incontrare con un’altra ragazza (come avevo fatto con Shiko), ed è emerso che un pochino mi stava imbrogliando. Ma Jane mi ha detto subito: “Ma non smettere di parlarle, non lasciarla”. Grande! Anche dopo aver scoperto la piccola truffa (che serve solo a portare a casa qualche soldo, non è mai per cattiva intenzione), non rompere mai la relazione. Semplice, no?
Termino qui, perché la mia permanenza in casa provinciale (da dove vi sto scrivendo) è giunta al termine e non avrò tempo né mezzi per terminare la lettera una volta a Korogocho. Vi saluto tutti di cuore, vi ringrazio di essere, in modi diversissimi ma sempre efficaci, una piccola candela accesa; vi ringrazio perché continuate ad aiutarci a tenere accese queste nostre piccole candele nella notte di Korogocho. Dio vi benedica!
Stefano