30 aprile 2006, Kalongo – Uganda “Verrà il giorno della libertà”

 

“Da poco ci sono state le elezioni di differenti autorità e tutti si aspettavano un cambiamento, soprattutto lo smantellamento dei campi profughi e invece… nulla di fatto. Si continuerà a vivere una vita impossibile, di fame, di sete, di mancanza di libertà. La libertà è il dono più grande di Dio, purtroppo calpestato sempre dai potenti che usurpano qualsiasi diritto. Ogni volta che vado nel campo sento un profondo senso di angoscia soprattutto per le migliaia di bambini. Un tempo ci fu un tentativo di raccogliere i bambini, che risultarono oltre un migliaio, in un’enorme scuola materna all’aperto. La cosa più interessante era vedere bambine di sei/otto anni con il fratellino o la sorellina legati dietro la schiena. Mi fermai una volta a contemplare la scena per vari minuti e poi la ripresi con la videocamera. Questa scena non la dimenticherò mai. Purtroppo questo tentativo di scuola materna fallì presto poiché le maestre si aspettavano un piccolo aiuto, scomparso nella borsa della corruzione. Ora, girando, trovo centinaia di tali bambini abbandonati a se stessi. Le povere mamme sono sempre troppo occupate in cerca di cibo, di legna, d’acqua. L’istinto di avere una mamma o un papà li spinge a seguirmi e dietro di me si formano sempre lunghe code. Sia che cammini, sia che mi arrampichi sul monte pieno di capanne, mi seguono e la fila continua ad aumentare. Vogliono una foto e vedendosi nel monitor della telecamera ridono e schiamazzano. Come siamo ridotti per colpa dei potenti! E allora ripeto l’inno del Magnificat. Verrà il giorno della libertà e questi piccoli eleveranno il loro grido alla Mamma del Cielo. È Lei che ci ha portato e ci porta il liberatore Gesù, lo stesso che riceveva i bambini e li benediva. Ho in mente una scena vista in un film: gli apostoli scacciavano i bambini e la Madonna li mandava verso suo Figlio che li alzava e li stringeva tra le sue braccia. E allora faccio così anche io. E tutti mi chiamano padi, padi walegu. È il nome che mi hanno dato: padre preghiamo. E così sono l’immagine di chi li ama e comprende il senso di affetto. Quando una volta al mese portano un po’ di cibo, guardo quel sacco di mais e di riso… cinquanta chilogrammi per famiglia. È far perdurare la schiavitù che regna da anni. Basterebbe mandare questa gente alla loro savana dove il terreno da coltivare non si misura e comincerebbe la vera vita umana. Cosa possiamo dire di una vita così, una vita che dura così da vent’anni? Non mi sento proprio tranquillo come se anche io fossi connivente in questo destino. Non si può lasciare più di un milione di persone a marcire in questi lager africani. Quando ero in Libano e visitavo i villaggi cristiani mi parlavano sempre della lotta secolare per conservare la loro fede, e parlo di vera lotta. E non così anche in Sudan, dove fui testimone delle prime vittime tra i cristiani e penso ancora alle mani grondanti di sangue cristiano? Posso dire la stessa così di qui. Anche Cristo fu vittima prima di tutto dei potenti della terra.”

p. Paolo Filippini