Una giornata difficile
Doveva essere un viaggio tranquillo verso Maroua. Accompagno Laura ed il direttore del nostro Liceo. Devono incontrare il Vescovo per risolvere alcuni problemi. Mi ritrovo, invece, a percorrere i Km di pista che separano Mogode da Mokolo con il fiato sospeso. Laura ed Emmanuel, il direttore, sono dietro, sul cassone, con Geneviève. Ma non mi preoccupano.
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Alla mia destra Julienne. A 4 anni ha perso una gamba cadendo da un albero di mango. Ora ne ha 12. Le abbiamo da poco cambiato la protesi. Va a Mokolo dove passerà le vacanze scolastiche.
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A fianco di Julienne c’è Delphine. Giovane donna. Aiuta nell’alfabetizzazione. Ha perso il marito, malato di AIDS, due anni fa. Ora teme per sè e per i suoi due bambini. Si è convinta a fare il test. Quale accompagnamento? Quale sostegno? All’ospedale di Mokolo ci aspetta Brunetta. Lei è addentro. Ci può aiutare.
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Il sedile dietro è occupato, invece, da Angèle. Sdraiata. La testa appoggiata sulle ginocchia di sua madre. Vedova, terza donna in Nigeria, è rientrata da poco à Rhumzu. Catecumena. E’ veramente grave. Da mesi è malata. Da giorni non mangia. Non parla. Uno scheletro. La mamma ripete al ritmo del respiro: “Mi muore! Mi muore!” Ieri sera mi hanno mostrato il vero libretto sanitario: AIDS. Una corsa contro il tempo. Un test. Una cura, forse. Penso a sua madre. Una donna semplice. Un marito violento. Per mia fortuna, parla un discreto francese. In questi mesi è stata abbandonata da tutti. Se Angèle morirà, sarà stata uccisa dalla malattia, dall’ignoranza e dalla solitudine. La malattia è curata gratuitamente in Cameroun, ma cozza contro inefficienze del servizio sanitario e noncuranza dei medici. L’ignoranza della malattia e di come proteggersi (beati voi che credete ancora che un po’ di plastica sia più potente di una buona educazione!) è diffusa. La solitudine viene dal sentirsi appestati, additati, tenuti in disparte, anche dai familiari… Uno scoiattolo sbuca dalla strada. Ci precede per qualche decina di metri per poi rituffarsi nella campagna. Ma non riesce a distogliermi dai miei pensieri.
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Sulla strada un imprevisto: “Mon père, mia moglie non riesce a partorire. E’ da ieri che ha perso le acque…” Non si fida dell’ospedale di Rhumzu. Vuole andare a Tada, il dispensario cattolico di Mokolo. Andiamo a vedere la donna. Clarisse. Grida dal dolore. Non ho voglia di portarla. Ho paura. Non riesce a stare seduta sul sedile davanti. La sdraiamo sul cassone. E se mi partorisce per strada? Arrivo alla Missione di Rhumzu. Prendo una stuoia per attutire i colpi sulla schiena e una coperta perchè stia al caldo. Esco e… non c’è più. L’hanno già trasportata in una casa vicina. Forse partorisce. Ma il bambino non vuole uscire. La riportano in macchina. La levatrice, la donna saggia del villaggio, sale con lei. Ha aiutato a partorire quasi tutte le mamme di Rhumzu. Lei non è turbata. “Mon père, non ce la faccio più!” Mi grida la donna. Non so cosa fare. Il marito ci segue in moto. Dei bambini ci corrono incontro e ci salutano festosi. Questa volta non ho voglia di ricambiare il saluto. Sono nervoso.
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Al completo, la compagnia si mette in moto. Mai il tratto Rhumzu-Mokolo mi è sembrato così lungo. Mai le pozze di fango mi sono sembrate così insidiose. A Tada lasciamo la futura mamma e Julienne. All’ospedale di Mokolo lasciamo Angèle e Delphine. E la strada continua. Circa un’ora di strada ancora verso Maroua. Adesso c’è l’asfalto. Lascio Laura e il prof in Curia.
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Con Geneviève, ultima passeggera rimasta, parto al palazzo di giustizia. Dopo aver fatto scivolare a terra, per diversi metri, una moto che mi ha tagliato la strada e il suo conducente (illeso!). Dopo aver accomodato la cosa tra noi (“Monsieur, non ho i documenti della moto, né l’assicurazione”) davanti ai vigili. Incontro Bernard. In prigione accusato di favoreggiamento per un furto di 30 buoi (mai avvenuto!) e per non averli restituiti (“Se ce ne dai anche solo 5, va bene, ti lasciamo…”). Ha passato tutta la giornata seduto sul gradino del palazzo di giustizia in attesa di essere ascoltato dai giudici. Se la famiglia non fosse stata presente: niente acqua, niente cibo. Comincio a pensare che Amnesty avrebbe qualcosa da dire…
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Un salto in farmacia per ritirare l’esito di analisi, una chiacchierata con il Vescovo, due parole con il giovane Bernard di Rhumzu, prete novello, e… si ritorna a casa. Le tappe si fanno al contrario.
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Angèle sta meglio. Tre boccette di flebo vuote sono sul letto. Il glucosio l’ha tirata un po’ su. Anche la mamma è più sollevata. Ma, nella camera accanto, scopriamo che un collaboratore di Laura è morto. 20 anni. Due settimane con un male allo stomaco. Finisce gli esami a scuola. Entra in ospedale lo stesso giorno. Muore dopo poche ore. A Tada siamo accolti da mamma Clarisse. Stento a credere che sia la stessa donna che gridava in macchina, con le gambe aperte e il pancione, solo poche ore prima. Il bambino, sottosopra nel grembo, è nato. E’ sano. E’ Zra: secondo figlio!
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La sera, sotto la veranda di casa, si segue il consiglio di Compieta: “A questo punto è bene sostare ”. Veramente, ogni giorno, “vita e morte si affrontano in duello”. Forse è per questo che, dopo un’affermazione, qui, subito si aggiunge: “pour le moment”. Le Sue Parole risuonano vere: “Stolto! Perchè ti agiti? Perchè ti affanni ad accumulare sempre più, schiacciando gli altri? Questa sera stessa ti può essere chiesta la vita… Cerca quello che conta davvero, tutto il resto ti sarà dato”. E’ con riconoscenza che questa sera prego: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito. Ora lascia, Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua Parola ”. Buona notte!
don Corrado