Mashenkwa!
Non vi preoccupate, non è una parolaccia! Significa buongiorno in lingua Kapsiki.
Quando nel mese di dicembre all’Oratorio di Sondrio ho dato la conferma per l’esperienza in Cameroun non mi sembrava vero. Finalmente anch’io avrei potuto vedere, ascoltare, sentire, assaporare i profumi dell’Africa (…e che profumi!!!).
Beh, la preparazione è stata lunga e abbastanza impegnativa con incontri di testimonianza e una tre giorni a Germasino. Ogni volta però che ci si trovava, ci si raccontava l’esperienza delle vaccinazioni, ci si scambiavano le informazioni sul Cameroun trovate in internet l’entusiasmo e la voglia di partire aumentavano sempre di più.
E finalmente il giorno tanto atteso è arrivato! Nonostante i discorsi terroristici di Don Stefano il nostro gruppo è arrivato al completo alla Malpensa.
Nonostante qualche problema di valigie (pesavano troppo!!) siamo partiti alla volta di Parigi. Lì avremmo poi preso l’aereo per N’Djamena, la capitale del Tchad.
Ad essere sinceri il viaggio, soprattutto l’atterraggio finale, non è stato dei migliori…ma non importa, ha reso più avventuroso il nostro viaggio!
Appena abbiamo messo piede in terra africana però tutto è sembrato svanire. Ci siamo trovati in un mondo dove tutto è diverso: ci hanno avvolto odori e ‘profumi’ che non avevamo mai sentito. La nostra presenza creava curiosità per un fattore che ha noi sembra scontato ma non lo è: la nostra pelle è bianca. La mattina seguente, sul confine, mentre passavamo in rassegna i diversi uffici per l’espatrio e quelli per entrare in Cameroun ci siamo resi contro di come eravamo stranieri in un’altra terra. Tutti ci fissavano, ci seguivano, ridevano per i nostri modi di fare, di vestire, di palare. Tutto quello che per noi fino al giorno prima era la normalità, il giusto, ora veniva messo in discussione. Dopo una giornata di viaggio, verso sera siamo giunti alla missione di Don Giusto a Mokolò-Mboua. L’accoglienza è stata delle migliori: bambini, ragazzi e adulti sono venuti per salutarci e aiutarci a scaricare le valigie.
Ha così avuto inizio la nostra avventura africana dove abbiamo potuto vedere e conoscere l’opera dei nostri missionari Fidei Donum Don Giusto, Don Andra e Don Angelo e toccare con mano una nuova Chiesa che sta nascendo.
Le attività dei nostri missionari sono principalmente l’evangelizzazione e la promozione umana che passa attraverso l’alfabetizzazione di giovani e adulti, i gruppi dei giovani e delle donne, il micro credito e la scuola per l’agricoltura.
“Il messaggio del Vangelo guarda al cuore dell’uomo. Da la forza di cambiare la società”.
Se come tutti, vi chiederete che cosa abbiamo fatto in Missione la mia risposta sarà: assolutamente niente. Prima di partire ci è stato fatto un regalo per la nostra esperienza: un lucchetto con la chiave. Non ci veniva chiesto farci grandi e cercare concretamente di risolvere qualche problema; al contrario dovevamo farci piccoli: usare il lucchetto per chiuderci la bocca e tenere aperte le orecchie e gli occhi per vedere e ascoltare, senza giudicare.
Devo dire che questa è stata la parte più difficile del nostro viaggio. Non tanto il convivere con ragni giganti e scarafaggi nel ‘bagno’ ma piuttosto lasciare da parte la nostra voglia di razionalizzare tutto e aprire il cuore.
Tutto, a partire dalle cose più semplici come il saluto ci ha fatto riflettere.
Eh si, perché bisogna salutare tutti! Non basta un unico ‘ciao’ detto magari di fretta. Bisogna salutare tutti: uno per uno. Non si usa nemmeno una sola mano ma entrambe. In questo modo non è solo la mia mano o la mia bocca che salutano ma tutta la mia persona che per un attimo ti fa diventare un po’ speciale.
Come ci diceva don Donato il tempo in Africa non esiste!
Il passare del tempo non è scandito dal ticchettio di un orologio ma dalle persone che si incontrano.
Così, se la Messa la domenica mattina è alle dieci e ha piovuto molto, si aspetta anche fino alle undici prima di iniziare così che chi arriva da lontano possa arrivare in tempo.
Dopo la S.Messa tutti venivano a salutarci e ci chiedevano qualsiasi cosa. È tanta la voglia di sapere ma anche di raccontarsi. È uno scambio continuo, un dare e un ricevere. Tanti ci invitavano a pranzo, ci mostravano le loro case. Nonostante siano fatte di fango e di paglia la luce che brillava nei loro occhi nel mostrarcele ci lasciava senza parole.
Bisogna dire che fare ordine a tutto ciò che abbiamo vissuto in sole tre settimane è dura.
Tante le persone, le storie ascoltate, i momenti vissuti insieme, le provocazioni…ci hanno coinvolto e sconvolto allo stesso tempo!
Al momento di fare la valigia per tornare a casa le cose da mettere erano molto più di quelle che abbiamo messo per partire:
c’erano i sorrisi dei bambini e i loro ‘profumi’, le risate e l’imbarazzo per le proposte di matrimonio, il sapore della polenta di miglio e della salsa e il suo appiccicarsi sulle dita, il bilbil che dava alla testa ma che non si poteva rifiutare!, i canti durante la S.Messa, i concerti cui abbiamo partecipato o fatto da giuria, la musica, le danze, la partita di calcio Italia-Camerun (abbiamo perso…va beh!), i ragazzi nel carcere felici perché ci siamo interessati a loro e siamo andati a trovarli, le suore e i loro dolci, i missionari del PIME che ci hanno accolto con entusiasmo e cene prelibate, i ragazzi di Mokolo che ci chiedevano di farli giocare, Don Giusto e la sua risata, Don Angelo e il suo ‘eh’, Don Andrea e i suoi ragazzi, il Centro Emmaus, Don Piermario e il suo raccontarci di come i ‘suoi’ bambini si addormentano a Messa,…
Prima di partire delle suore ci hanno consigliato di comportarci come delle spugne: assorbire il più possibile e non appena a casa di strizzare tutto e donarlo. Strizzare è proprio difficile ma bello allo stesso tempo.
La sfida più grande è portare un po’ di Africa anche a casa, rendere un po’ africano il nostro quotidiano.
Avere uno stile di vita sobrio, che vede l’altro al centro, come priorità, dovrebbe essere ciò cui ciascuno tende. Questa esperienza in terra africana mi ha sconvolta e così chi l’ha vissuta insieme a me. L’Africa ti prende, ti entra dentro e ti cambia, ti chiede di tornare a casa cambiato e di lasciare sempre un po’ di te stesso in quel paese così ‘lontano’.
“Il discorso Missionario tocca nel profondo, nel cuore delle scelte, nel modo di pensare e di esistere. Apre nuovi orizzonti”
don Giusto, Mogodè 28 agosto 2006
I partecipanti all’esperienza
don Corrado, Filippo, Angela, Annalisa, Brunetta, Carmen, Chiara, Daniela, Daniela, Laura, Maria, Elena, Roberta, Silvia