15 novembre 2014 – Gli occhi di Rosa.
Rosa è una bella ragazza di ventinove anni, vive in una casetta di legno e cartone a mezz’ora di jeep da Carabayllo. Il suo primo figlio ha dodici anni e si sta preparando alla Prima Comunione. E’ un ragazzo semplice e silenzioso, ancora non sa che suo padre è suo zio, un alcolizzato che ha abusato e straziato l’adolescenza di sua madre. La seconda figlia è una piccola peste con il sorriso buono di sua madre e gli occhi neri di un uomo che ha promesso a Rosa mari e monti, ma che l’ha lasciata sola con un pugno di delusioni. In dicembre dell’anno scorso Rosa scoprì di avere un tumore all’utero. All’ospedale statale gli fissarono un esame più approfondito. Tempo di attesa: tredici mesi. Rosa non ha alternative: aspettare e sperare che il tumore non la divori prima della biopsia. Certo: ci sono pure le cliniche private con i marmi lucidi e l’acqua calda, ma lei non può permetterselo e così decide di aspettare. Il tumore, però, non è della stessa idea. Una vicina di casa mi racconta la sua storia e decido di andare a visitarla. Ci apre la porta trascinando i piedi e i capelli scompigliati le coprono metà del viso. Ci sediamo su un divanetto mezzo rotto e impolverato. Rosa piange, dice che per lei non c’è più nulla da fare, mi chiede di prendermi cura della sua piccola Camilla. La lascio sfogare, ascolto, le passo un fazzoletto per asciugare le lacrime. Cerco nel fondo dello stomaco qualche parola per Rosa, ma niente. La sua storia e la sua disperazione mi hanno strappato tutte le parole che pensavo di conoscere. Con me è venuta Milagros, la giovane assistente sociale che lavora nella Parrocchia. Capisce che sono alla deriva e prende la parola. Non mi ricordo cosa le abbia detto, solo ricordo il come. Parole tra donne, quelle che noi uomini non sappiamo dire. Dopo un’ ora di conversazione Rosa accetta di sottoporsi ad una nuova visita nel policlinico parrocchiale. Forse il tumore è davvero maligno, forse dovrà iniziare la chemioterapia, forse dovrà operarsi. Forse. Ma negli occhi di Rosa brilla una piccola luce, un frammento di dignità ritrovata, un piccola scintilla di speranza. Mentre ci salutiamo e ci diamo appuntamento per il giorno seguente, arriva la piccola Camilla con in testa il cappello di paglia della nonna. Ci scruta con i suoi occhioni neri e poi, indicandomi con la sua manina, chiede alla mamma: “Finalmente è arrivato Gesù per farti guarire?”. Rosa non sa se ridere o piangere, la abbraccia forte e le dice: “Si, Cami, penso proprio di sì…”. Mentre mi allontano tra le strade sabbiose affido al Signore Rosa e i suoi figli. Che le sue mani sapienti possano far germogliare questi piccoli semi di dignità e di speranza che cerchiamo di seminare nel deserto affollato della periferia.