22 dicembre 2015 – Un solo mistero…
Un piccolo Babbo Natale e una renna sgualcita penzolano sulla porta della casa di Ruth. Intorno solo sassi, sabbia e altre case di legno aggrappate con le unghie ai ripidi pendii delle dune rocciose a pochi kilometri da san Pedro. Il clima è torrido, ma la spruzzata di neve sul berretto del Babbo Natale mi rinfresca le idee. Ruth apre la porta e mi saluta con il suo solito bellissimo sorriso. Nonostante la sua vita sia un sorprendente mosaico di dolori e solitudini, i suoi occhi neri brillano di una luce calda e serena. Mi accoglie nella sua piccola casa con un abbraccio. Tutto è ordinato e pulito. Il pavimento è di terra battuta, le pareti sono di legno riciclato inchiodato con cura ad alcuni pali azzurri. Pannelli pubblicitari dell’ultima campagna politica assolvono benissimo la funzione del tetto. Il pianto della piccola Aisha reclama la nostra attenzione. Lo scorso anno, dopo lunghe attese e tanta sofferenza, Ruth ricevette la bellissima notizia di aspettare un bimbo, ma i nove mesi di euforia si stemperarono a pochi giorni dal parto. Il verdetto non lasciò spazio a molte interpretazioni: la piccola Aisha era affetta da sindrome di Alagille, una rarissima malattia genetica che colpisce fegato e cuore. Mamma Ruth mi mostra le ultime analisi del sangue e io tengo stretta la piccola Aisha. Ha sette mesi, ma sembra molto più piccola. Mentre ascolto il resoconto dell’ultima visita medica con la super-specialista, la mia attenzione è rapita dal piccolo presepe preparato in un angolino della stanza. Essenziale e ordinato, come Ruth e la sua casa. Maria e Giuseppe sono chini sulla culla vuota. Un angelo con i boccoli biondi annuncia ai quattro venti la nascita del figlio di Dio. E io mi sento come uno dei pastori accorsi alla grotta di Betlemme. Guardo la piccola Aisha, mi perdo nei suoi occhioni neri e un brivido mi sfiora la schiena pensando che Dio, l’Eterno, scelse la nostra fragile e debole carne per rivelare il Suo Volto. Mi sento come uno di quei pastori, pieno di stupore e meraviglia. Allo stesso tempo mi sento come Simone, il Cireneo. Mi siedo al fianco di Ruth, lascio che mi racconti, che si sfoghi. La dottoressa dice che l’unica possibilità di vita per Aisha è il trapianto di fegato, ma lei e la sua famiglia dovranno trasferirsi in Argentina perché in Perù non esiste nessun ospedale specializzato per questi interventi. Suo marito dovrà lasciare il lavoro senza nessuna garanzia per il futuro. L’ascolto, accolgo la sua Croce, l’aiuto a sollevarla. Le prometto che non la lasceremo sola, che tanti amici stanno pregando per lei. Aisha inizia a piangere, il segnale è chiaro: è l’ora del latte. Lascio che la mia piccola amica faccia la sua merenda e la saluto con un bacino sulla fronte. È ora di rientrare a Carabayllo. Mentre cammino verso la jeep, lancio un’ultima occhiata alla casetta di Ruth. Oggi, in quella piccola baracca di legno, ho imparato qualcosa che non dimenticherò mai. Mi preparo a questo Natale con lo stupore dei pastori e con la disponibilità del Cireneo. In ginocchio davanti alla culla e alle infinite croci piantate nel cuore della terra. In silenzio per ascoltare la scorza di legno della culla e della croce. E scoprire che tutto è un solo mistero. Quello dell’amore.