Mi sembra ieri quando, il 1° luglio, ho fatto il mio ingresso ufficiale nella parrocchia di Quiches e invece sono passati quasi otto mesi. Il tempo è volato e per me sono stati dei mesi molto belli, intensi e ricchi di novità.
Ho conosciuto quasi tutti i caserìos (villaggi) della mia parrocchia, ho conosciuto tante persone e mi sono fatto conoscere, presentandomi come “il nuovo parroco di Quiches”.
Le prime due settimane di luglio, insieme al mio amico Kiappa, sono state quasi “da favola”. Abbiamo girato insieme e conosciuto metà della parrocchia, celebrando la S. Messa al mattino per i bambini e i ragazzi delle scuole e la sera per la gente del paese.
Kiappa era il mio chierichetto.
In ogni caserìo ci hanno dato un posto per dormire e qualcosa da mangiare. Diciamo che siamo stati accolti come dei “principi”.
Poi, dalla metà di luglio, sono rimasto in parrocchia da solo.
Sono state le settimane più dure e difficili. Mi sono rinchiuso nella casa parrocchiale a fare un po’ di lavoretti per renderla vivibile e accogliente e, la sera, celebravo la S. Messa. Mi piace lavorare e così il tempo passava, ma… sentivo che mi mancava qualcosa.
Così, con fatica e un po’ di paura, ho “rotto il ghiaccio” e sono uscito di casa a “perdere” un po’ di tempo nel parlare e conoscere le persone che incontravo.
Sono andato nelle scuole più volte e tutti i pomeriggi mi aspettava una partita a calcio con i giovani del paese. Giorno dopo giorno mi sono sentito sempre più in famiglia.
Per un mese di seguito, la gente ha cominciato a invitarmi a mangiare a casa loro e così, da un po’ di tempo ormai, mi sento come a casa mia qui a Quiches.
Per di più il paese è molto piccolo e semplice e mi ricorda tanto il mio “borgo”.
Alla fine di settembre sono stato per quindici giorni nella zona nord della mia parrocchia per celebrare la S. Messa e i battesimi (più di 100) nel giorno della Festa Patronale di ogni caserìo.
Avevo un po’ di paura nel non sapere se nei caserìos che non conoscevo avrei trovato un letto per dormire e qualcosa da mangiare.
Ma… sono andato, e sempre a piedi, camminando a volte per molte ore, talvolta solo, talvolta accompagnato da qualche giovane.
Nell’andare solo, a piedi, da un caserìo all’altro, a volte cantavo, recitavo il S. Rosario o semplicemente, in silenzio… contemplavo la natura: montagne maestose e vallate a volte ampie e interminabili, a volte strette e chiuse.
Un paesaggio che mi apriva la mente e il cuore e mi faceva pensare e sognare…
Arrivando nei caserìos la gente mi salutava con riservatezza pensando: “chi sarà questo gringo?”.
A volte, quando dicevo: “Sono il Padre”, alcuni ridevano, altri rimanevano stupiti. Infatti, in alcuni posti, erano più di tre anni che non arrivava un sacerdote a celebrare la S. Messa; e in questi tre anni le sette sono state l’unica voce “religiosa” e hanno strappato così dalla loro radice cattolica tante famiglie cristiane.
Nei caserìos più lontani e isolati, a 5-8 ore a piedi da Quiches, ho trovato ragazzi giovani con modi un po’ “selvaggi”.
In generale, famiglie povere e semplici vivono di quello che la terra, dopo tanto lavoro, decide di regalare e con un solo desiderio: che i loro figli possano andare a Lima a studiare e diventare “qualcuno” nella vita.
Nel lascare un caserìo dopo averci vissuto 2 o 3 giorni e aver celebrato la S. Messa e i battesimi, mi salutavano dicendo: “buona fortuna, Padre”.
Mi sono così commosso più volte.
Per la gente di qui io, oltre al Padre, sono l’autorità religiosa e così mi invitano a tutte le riunioni per decidere le sorti e il futuro di Quiches. Così mi sono integrato alla vita del paese.
La domenica, prima della S. Messa, intono io l’inno nazionale che comincia con le parole: “Siamo liberi”. Sì, sono libero e contento di vivere quello che tanto ho sognato e desiderato quando ero bambino e quando ho deciso di entrare in seminario.
Libero di provare a volere bene alle persone che il Signore mi ha affidato, mandandomi, attraverso la voce del Padre Ugo e del Vescovo, in questo posto “fuori dal mondo”.
Ogni tanto mi chiedo: “ma cosa ci faccio io qui?”.
Come una freccia passa per la mia testa questa domanda e poi, senza accorgermene, i giorni volano e mi sembra che il tempo per riuscire a fare “tutto” quello che programmo, già mi manca.
Vi ricordo sempre con affetto.
Padre Mario Fedeli