6 dicembre 2010, Rhumzu – Cameroun Palù

Seduto sotto la veranda, contemplo il teschio con le due lunghe corna (1 metro almeno) del bue che abbiamo macellato per la prima messa di Zra Bernard. Una grande festa per tutta la parrocchia. La stagione secca è cominciata: le piogge violente hanno già lasciato il posto alla polvere… La raccolta della soia va bene: porterà un po’ di soldi nelle tasche della gente. Peccato non sappiano gestire il guadagno. Nel giro di poco tempo avranno sciupato quasi tutto. Laura è rientrata in Italia per un breve periodo di riposo.

Palù

***La Messa del giovedì nella chiesa semi aperta di Rhumzu è sempre suggestiva. Inizia nell’oscurità delle 5 e 30 di mattina. Man mano che il cammino della preghiera si snoda dall’ascolto del Vangelo alla Presenza Eucaristica. Tutto si illumina. Il sole sorge davanti a te. Vedi le donne, ancora imbacuccate nei loro tessuti sgargianti. Vedi quella natura che percepivi solo attraverso i piccoli rumori e i profumi, così rigogliosa nella stagione delle piogge.

Il primo Giovedì del mese di luglio, questo clima di alta spiritualità è stato interrotto da un rumore nuovo. Un gorgoglìo d’acqua che preannunciava una scarica di… diarrea. Non era il caso, dopo la Messa, di fermarsi a salutare i fedeli.

Quello che per me, fino a poco tempo prima, era solo un pittoresco lago della Valmalenco, è diventato quello che per milioni di africani è quotidianamente una sfida alla sopravvivenza. “Palù” per i francesi. “Malaria” per gli italiani. Una mezzoretta di brividi intensi. Febbre a 39. Diarrea. Vomito. Quattro giorni a letto. Una settimana di riposo… e via! Si riprende. Ma con un piccolo bagaglio di incontri in più.

 

***Un forte acquazzone ha caratterizzato tutta la giornata. L’infermiere del nostro centro di Kila si è fatto 30 Km in moto sotto l’acqua per recuperare una bombola del gas. “Senza questa, il frigor dell’ospedale non può andare. Abbiamo tutti i vaccini contro la poliomelite. Non voglio dare acqua ai bambini”. Dieci minuti di pausa, un te caldo e il ritorno. Altri 30 Km su piste improbabili rese insidiose dal fango. Grazie, Moise!  Prima di partire mi guarda: “Sì, è proprio palù”.

 

***I bianchi sono deboli, si sa. Poi è la prima volta… Meglio farsi vedere da un dottore vero. Per far questo bisogna arrivare a Maroua. Il dottore che incontriamo è giovane. Del sud. Il nome un po’ bizzarro: Jovanny. Mi visita con attenzione. Un infermiere entra e comincia a parlare. “Il tipo che è arrivato non vuole mettersi a letto” “Perchè?” risponde il medico. “Mancano le lenzuola” “E dagliele allora!” “Ma… chi paga?” “Le paghi tu? E’ gente che soffre. Viene da lontano. Ha il diritto di essere curata”. L’infermiere resta interdetto. Non è abituato a sentire parole simili. Neanch’io. Normalmente, chi non ha soldi, viene sbattuto fuori. Non ha diritto di essere curato, neanche se grave.

 

***Nella settimana di riposo sono stato bombardato da visite continue. Le persone più lontane, le più insospettate erano lì. Uomini, donne, bambini. Pochi minuti per farmi sentire la loro vicinanza, la loro condivisione. Il momento della sofferenza non è vissuto in solitudine, ma apre ad una trama di relazioni molto belle. Altro che mandare i bambini dai vicini di casa perchè non vedano, non sappiano…

 

***Dopo una settimana mi sento bene. Per sicurezza rifaccio il test. C’è ancora del plasmodium nell’organismo. Forse non sono guarito bene? Il dottore sorride e mi dice: “Non si preoccupi, solamente: Benvenuto nei paesi tropicali!” Già. Mi sento uno di loro. In effetti, è la malaria la vera malattia che minaccia i nostri popoli. E una domanda mi gira per la testa. Ci sono molti progetti di aiuto da parte di tutto il mondo per curare i malati di AIDS in Africa di cui sono sinceramente grato. L’AIDS è una piaga in Africa che rischia di divenire pandemia. Anche la CEI, con i fondi dell’8 per mille, sta portando avanti dei buoni progetti in Cameroun. Ma ho sempre l’impressione che ingaggiando una lotta contro l’AIDS stiamo lottando contro le nostre paure, contro una malattia che ci fa paura perchè ci tocca da vicino. Mentre la malaria, sconosciuta, per fortuna, oggi, in Europa, non ci dice niente. Non smuove gli istituti di ricerca. Ma sono diversi i bambini che ho visto morire di malaria. E questo non mi lascia tranquillo.

 

***E adesso… Mi sembra di vederla. Non sa se piangere o se ridere: “Disgrazia! Non mi avevi detto niente. Torna a casa! E io che ero tranquilla…” Ciao, mamma! Per così poco?

don Corrado