“Non esiste una strada verso la felicità. La felicità è la strada”.(Confucio) A Rebbio, quand’ero vicario una famiglia mi aveva regalato una maglietta con questa scritta. Quanto l’ho sperimentata vera, soprattutto negli ultimi tre anni, da quando la Diocesi di Como “mi ha prestato” come esperienza fidei donum alla comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi. Ho trascorso questo tempo vivendo a Crema, in una casa famiglia nella quale vi abitano la mamma, il papà, tre figli naturali e una donna con problemi psichiatrici, fin poco tempo fa c’erano anche due adolescenti che stavano con noi. In questo periodo ho girato parecchio per incontrare le comunità terapeutiche dell’associazione che si occupano di persone legate alle varie dipendenze (droga, alcool, gioco) per giornate di preghiera, ritiri spirituali, confessioni, etc. Inoltre c’è stato il contatto con la strada a Milano per stare assieme ai senza fissa dimora e ai giovani della notte, all’entrata e all’uscita delle discoteche. In questi anni c’è stato un intensificare le esperienze in Romania accompagnando giovani, in modo particolare giovani che stavano uscendo dal mondo della droga, per esperienze di condivisione con i più poveri.
“La felicità è la strada”. Già, ho trascorso tanto tempo sulla strada in questi anni, ho vissuto appieno l’esperienza dei due discepoli di Emmaus, tante volte mi son dovuto fermare e guardare dentro me per leggere in profondità la mia vita e lasciarmi ancora riaccogliere da Gesù attaraverso il suo amore, la sua misericordia: ”Non bisognava che Cristo sopportasse…” dice Gesù ai suoi, non sempre riesco ad accettare che Cristo dovesse sopportare il peso della croce.
Ciò che però ho più sperimentato, sempre pensando ai discepoli di Emmaus, è il versetto dove l’evangelista Luca dice: ”entrò, prese il pane, disse la benedizione e lo diede loro”. Quante confessioni con i ragazzi che arrivano dal mondo della marginalità mi hanno fatto sperimentare questo. Tanti incontri, a volte nel pieno della notte, di giovani che mi hannno fatto godere della presenza di Cristo, lì in quel momento. Proseguirò la mia esperienza “fidei donum” nella comunità Papa Giovanni XXIII trasferendomi in Romania a Bucarest, dal mese di luglio, per tre anni. Ogni due mesi rientrerò in Italia una settimana per portare avanti il discorso spirituale nelle strutture di cui dicevo sopra. Apriremo una nuova casa per giovani italiani che stanno finendo il percorso di recupero dalla droga o che l’hanno già finito e vogliono mettere a disposizione parte del loro tempo per il prosssimo per chi è nel bisogno. Mi commuovo quando penso a ragazzi che fino pochi anni fa rubavano, non avevano valori, erano persi nel buio, ed oggi dicono: “Eccomi” ad un progetto del genere. La casa ruoterà su due perni: la preghiera e la condivisione di strada. Ogni giorno ci sarà la preghiera del mattino e della sera e la Messa. L’attività che a Bucarest svolgeremo sarà varia ma molto incentrata sull’essere “chiesa in uscita in modo particolare laddove c’è una desertificazione spirituale” (Papa Francesco E.G. N°86). Avremo a che fare con bambini e giovani disabili “parcheggiati” e dimenticati negli istitui; incontreremo i ragazzini negli orfanotrofi, nei tombini, i senza fissa dimora sulla strada, le famiglie zingare e collaboreremo con le suore di Madre Tersa di Calcutta in un quartiere di estrema periferia (Ferentari). Sarà un toccare le croci, gli abbandoni, le sofferenze della strada, ma sarà anche un toccare la felicità che è la strada, i piccoli germi di resurrezione! Estendo a chiunque l’invito a venirci a trovare in Romania, la porta sarà sempre aperta!
In questo momento di passaggio, non posso non ringraziare il Vescovo Diego che quattro anni fa vide in me la possibilità di vivere un’esperienza di Chiesa con la comunità Papa Giovanni XXIII e il Vescovo Oscar che mi permette di proseguire tale cammino. Sono stato molto fortunato perché ho incontrato tanti sacerdoti che mi sono stati maestri, in primis don Rocco Acquistapace, il mio ex parroco di Verceia, che vide in me e in mio cugino Ivan, il seme della vocazione sacerdotale, i miei parroci di Tavernola e Rebbio e tanti altri sacerdoti che mi hanno aiutato veramente tanto. La straordinarietà di tanti sacerdoti sta nel vivere la quotidianità con passione, dedizione, amore. Ecco ciò che di più vero mi hanno donato. Un ringraziamento grande alle comunià dove ho vissuto i primi dici anni di sacerdozio.
Concludo riportando tre citazioni. Papa Francesco nell’Amoris Laetitia scrive:”nello stesso tempo, poiché le resistenze dei giovani sono molto legate a esperienze negative, bisogna aiutarli a percorrere una via di guarigione di questo mondo interiore ferito, così che possano accedere alla comprensione e alla riconciliazione con le persone e con la società” (N°272). Sento che sempre attraverso la grazia di Dio il primo che ha bisogno di essere guarito sono, io. Solo così potrò riuscire ad essere seme di guarigione. Suor Maria Laua Mainetti, la nostra carissima suora di Chiavenna, in una riflessione ha scritto:”Dire il mio sì come Gesù lo ha detto al Padre, come lo disse Maria… La fede-abbandono è confidare, ciecamente, in qualcuno che ti ama appassionatamente” Voglio continuare a fidarmi di Lui e della Chiesa, in modo particolare quella diocesana che mi invia. Infine, don Oreste Benzi, il fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII: “Dio ci ha fatti per il mare aperto! Credo davvero che una famiglia faccia sognare i suoi figli. L’ho detto tante volte ai padri: è compito soprattutto loro. “Fa in modo che i tuoi figli vendendoti facciano sogni, come dice la Scrittura i vostri figli avranno sogni e visioni”.
Diceva bene Martin Luther King: “Io ho un sogno che non vedrò realizzato, ma so che si realizzerà: vedo i figli degli antichi schiavi camminare sulla terra rossa della Georgia tenendo per mano i figli degli antichi padroni. Io non lo vedrò”, infatti l’hanno ucciso per un milione di dollari. Lui non ha taciuto. Monsignor Camara diceva che i sogni, se sono sogni di un popolo, si realizzano, altrimenti rimangono un sogno.Continuiamo a sognare e costruire un mondo più giusto, equo, a misura del Vangelo e dell’uomo. Don Federico Pedrana