Carissimi,
la vita a Korogocho è così, un giorno si rasenta la disperazione e lo sconforto totale, il giorno dopo c’è luce e speranza. L’alternanza tra tenebre e luce, sofferenza e gioia è incredibile, velocissima e repentina, e alla fine si rischia di non sapere più qual è la Korogocho vera. “Sempre sul ciglio di due abissi / tu devi camminare e non sapere / quale seduzione, / se del Nulla o del Tutto, / ti abbattera’” (Turoldo). Avessi iniziato questa lettera qualche giorno fa, avrei iniziato a raccontarvi delle tragedie delle ultime settimane, della violenza dilagante di questi giorni, quella quotidiana dei piccoli ladri e quella organizzata degli omicidi su commissione; vi avrei raccontato di Stephen Nyaga, detto Nyash, giovane leader, impegnato su molteplici fronti per una Korogocho nuova, ucciso la notte prima del Mercoledì delle Ceneri, proprio un inizio di passione e sofferenza; vi avrei detto di George, nostro anziano catechista, che per la follia di un ladro comune ha perso un dito, ma ringrazia il Signore di non aver perso la vita; o di Gerrard, ucciso brutalmente una mattina presto e derubato della sua moto-taxi… Delle manifestazioni avvenute per reclamare giustizia, e infiltrate poi da vandali comuni che hanno saccheggiato case e negozi. Dell’impotenza e inutilità della polizia che o non agisce, o se lo fa, spara sulla folla o si macchia di esecuzioni extra-giudiziarie. Di Kambo, l’anziano proprietario di un negozietto vicino a casa nostra, che si è trasferito altrove, stanco dei soprusi e taglieggiamenti. Roba corrente direbbe qualcuno a Korogocho, “così è la vita”, in un misto di rassegnazione e complicità. Sono le stesse paure che fanno vincere la nostra mafia italiana, ormai non più solo al Sud, ma dappertutto. Cose che si sanno ormai da così tanto tempo che sono entrate nelle nostre vite, le plasmano, le assopiscono, le conducono.
E invece inizio la mia condivisione con voi da altrove. Un po’ perché mi sono ricordato della promessa fatta quando sono partito: raccontare il bello dell’Africa, e del Kenya, e di Korogocho. Un po’ perché effettivamente il Signore è così buono che nel mezzo delle tenebre ci mostra segnali di luce, piccole candele, forse mozziconi, per farci coraggio e ricordarci la bellezza della luce, la bellezza di una vita bella. E così queste due settimane di fuoco si sono chiuse con raggi di luce incredibili, quasi accecanti, come quando uno esce al sole da una stanza buia.
Il primo ieri. Il Giudice Supremo, Willie Mutunga, è tornato di nuovo a Korogocho, dopo la sua prima visita da neo-eletto lo scorso giugno. È venuto ad inaugurare un Centro della Giustizia, gestito dall’associazione di avvocati kenyani per i diritti degli indifesi Kituo Cha Sheria, e situato a St. John. Una piccola stanzetta nell’edificio del biogas, ancora spoglia di tutto, ma di un significato enorme. Proprio nel periodo buio della violenza e dell’impunità, ecco nascere nel cuore di Korogocho un centro di speranza per tanti, dove la gente più comune può rivolgersi a chiedere consulenza giuridica e assistenza nel caso occorra un avvocato (una volta alla settimana un avvocato sarà presente per gestire i casi più complessi). L’ufficio sarà gestito dal Kituo Cha Sheria in collaborazione con i paralegals di Korogocho, cioè attivisti preparati nella conoscenza delle leggi kenyane. Primo mozzicone di candela.
L’altro oggi, fresco fresco. Mi incontro con cinque giovani di Korogocho: Japhet, Vincent, Wilkister, Motora e Ivonne. Tutti professionisti, laureati o quasi. Hanno pensato che il modo migliore di ringraziare il buon Dio e tutti quelli che li hanno aiutati a studiare e a diventare quelli che sono oggi, è di impegnarsi ancora di più a Korogocho. Stanno creando una ditta di consulenza su diversi fronti, quelli in cui loro sono specializzati: finanza e contabilità, leadership, formazione di gruppi, ricerche sociologiche, tecnologia e comunicazione. Dallo scambio di questa mattina nasce una collaborazione con i nostri progetti, e con St. John e Korogocho in senso più ampio, non più a livello di volontariato, ma professionale. È il sogno di St. John che si avvera: investire sul singolo perché poi lui o lei possano e vogliano re-investire nella comunità. Ho chiesto loro: “Perché? Perché lo fate? Perché non rispondete anche voi alle sirene del mondo delle Organizzazioni Non Governative che pagano fiori di soldi per professionisti come voi, togliendoli però dal loro ambiente, sradicandoli dalle loro radici?” La risposta è stata unanime: è la nostra scelta, una scelta di stile e di vita. Non credono a quelle sirene, in quel mondo dorato e falso si sentono fuori posto, sanno da dove vengono e sanno cosa vogliono. E conoscono Korogocho meglio di chiunque altro. “Non potrei mai sedere in un ufficio di una grande compagnia”, dice Japhet, contabile del Napenda Kuishi Trust e del Kutoka Network. “Ho imparato a conoscere il mondo delle grandi corporazioni, e non è il mio”, gli fa eco Motora, studente di informatica e comunicazione, che si laureerà quest’anno. Vincent lavora già in un ambiente di questi e ne vede tutte le sfide e le incongruenze, vede le lacerazioni che quella presenza gli provoca all’interno, nel profondo della sua identità. Ivonne è già molto impegnata con p. John nel Kutoka Network, in un lavoro di giustizia e pace, di educazione e di difesa dei diritti dei più deboli. Wilkister è l’assistente sociale della nostra scuola di St. John. Straordinario. Straordinarie persone. Ho detto loro: “Vedete come mi brillano gli occhi? È il sogno di St. John che si avvera. Sapevo che eravate in gamba, ma non fino a questo punto, siete stati capaci di stupirmi”.
E via, allora, a raccogliere tanti mozziconi di candela. Alcuni giovani vengono a casa mia e mi dicono che sono ladri, gente brutta, ma vogliono cambiare; chiedono di essere aiutati a iniziare una piccola attività che li porti lontano dalla vita passata; si impegnano a diventare modelli per altri giovani. Dopo aver raccolto le necessarie informazioni e ottenuto sufficienti garanzie, li aiutiamo. Uno di loro, come segno di impegno, su mio invito, mi lascia il suo strumento di lavoro, un coltello lungo più di una spanna che adesso è appeso in camera mia accanto alla croce.
Ruth (nome fittizio), una ragazza di cui parlavo in un articolo per Rete Radiè Resch, ex-prostituta, continua il suo lavoro, si è trasferita fuori da Grogon, combatte con i fantasmi del passato ma resiste. È contenta e ha riscoperto la Bibbia che legge assiduamente.
E tanti altri. E tante altre. I mozziconi di candela si assommano e ne esce un cero pasquale, simbolo della vittoria della Vita sulla morte. Siamo a metà cammino di quaresima, segnata davvero da sangue e violenza sugli ingiusti, costellato di grida di aiuto che sono vere e proprie preghiere; ma siamo davvero già alla domenica di Pasqua, alla luce sfolgorante della Risurrezione. C’è sempre speranza. Noi, p. John e io, con Collins, il postulante che abita con noi, siamo fieri di essere qui ed essere testimoni di quello che accade. Un giovane di Grogon, commentando la situazione attuale e il fatto che tanti vogliono trasferirsi, dice: “Qui, alla fine, rimarranno solo i padri”. Le prendiamo come parole profetiche, come un ulteriore mandato dal Signore stesso a continuare la sua missione. Anche Mutunga, nel suo breve discorso di ieri, ricordando il suo grande amico p. Alex, ha detto: “Alex mi ha insegnato che se voglio essere un attivista di pace e giustizia, devo essere un attivista missionario, cioè essere lì nel luogo dove voglio trasmettere il mio messaggio di pace e giustizia”. Tanti non l’hanno ancora capito, anche tra i Comboniani. Le persone più semplici sì, lo sanno, lo vedono e imparano, trasformando le loro vite per trasformare Korogocho, e il Kenya, e il mondo.
Alla luce di questi mozziconi di candela, alla luce di questo cero pasquale, vi saluto di cuore, lasciandovi e lasciandomi queste lezioni di vita. Coraggio!
Un grande abbraccio,
Stefano