15 ottobre 2008, Sud Sudan Il fuoco della missione

Ottobre viene celebrato nella Chiesa Cattolica come il mese missionario.  E’ l’occasione per riflettere sul significato e le modalità dell’evangelizzare oggi e ai missionari/e viene spesso chiesto di contribuire con la loro riflessione ed esperienza di vita. In realtà fa bene anche a noi fermarci e pensare quale posto ha l’annuncio del Vangelo nella nostra vita. Non possiamo dare nulla per scontato anche se l’istituto a cui apparteniano ha ufficialmente il titolo di missionario.

A volte si dice a chi parte per la luna di miele di non consumare subito tutto il ‘miele’ perchè non rimanga solo la ‘luna’, di più difficile digestione. Sebbene questo gioco di parole faccia sorridere, penso che non necessariamente debba corrispondere alla verità. Scelte importanti come quella del matrimonio o della vita religiosa sono spesso originate da una forte esperienza di attrazione verso qualcuno, dove anche la componente emotiva favorisce la decisione a impegnarsi in un legame permanente. E’ un momento particolare che, a partire dalla mia esperienza nella vita religiosa, mi piace chiamare ‘di sintesi’: il fuoco della vocazione fonde le incertezze, consuma d’un colpo tutti i dubbi e dà alla persona la forza di fare un passo decisivo. La vita di tutti i giorni, nello scorrere degli anni, è fatta invece di molti momenti ‘analitici’ dove l’adesione iniziale è scomposta nel dire sì alle tante circostanze che si presentano. Penso che Gesù alludesse a questo nella sua risposta ai fratelli Giacomo e Giovanni che nell’entusiasmo dei neofiti volevano subito sedere alla sua destra e alla sua sinistra: “Potete bere il calice?”
Il contenuto del calice non è sempre gradevole al gusto ma l’esperienza dell’amore travolgente di Dio non finisce: continua e si approfondisce, diventa totalizzante. Non c’è la speciale relazione di una famiglia propria ma c’è la possibilità dell’apertura a una fraternità universale dove si accoglie e si viene accolti. Non si può portare avanti un progetto di vita in proprio ma nella partecipazione a un progetto comune si conosce una libertà che fa toccare ciò che è essenziale.
In un recente viaggio di due giorni in barca sul Nilo, con il sole e la pioggia, mi sono chiesta come il fondatore del nostro istituto, Daniele Comboni, il quale di giorni in barca sul Nilo ne sperimentò tanti, potesse desiderare di avere molte più vite per donarle all’Africa. Altre volte di fronte alle lentezze e difficoltà del lavoro di evangelizzazione in Sudan, di fronte al fallimento di tanti progetti e sogni dei missionari e a un futuro incerto per questo Paese, mi sembra che già sia più che sufficiente riuscire a bere un solo calice, vivere una sola breve vita. C’è però un’altra espressione di Daniele Comboni che aiuta a rimettere la realtà in giusta prospettiva: la sua constatazione che la missione è “tutta di Dio”. E’ il sorriso radioso dei giovani, il calore di una stretta di mano o l’inaspettata soluzione a un problema che fanno intravedere una Presenza più grande, che rimettono in contatto con il fuoco originario che continua ad ardere e irresistibilmente coinvolgere.
Ho scritto questi pensieri di getto, senza pretesa di sistematicità, ma pensando ai giovani che stanno domandandosi come orientare la propria esistenza. La missione chiama ancora: tanti hanno bisogno di sentire la buona notizia di Gesù Cristo e non ci si può pentire quando si risponde con la propria vita.