Carissimi amici,
vi scrivo in questa sera del 1 ottobre che apre il mese missionario. E proprio oggi è anche (non a caso!) la festa di Santa Teresa di Gesù Bambino che è la patrona di tutte le missioni e … dei missionari! Da sempre sono legato da “particolare amicizia” a questa piccola grande santa. Non solo perché è nata il mio stesso giorno il 2 gennaio (seppure 104 anni prima!!! Cioè nel 1873!) ma per la bellezza, la profondità, il mistero della sua vita. La sua autobiografia “Storia di un anima” è ed è sempre stata per me aiuto e incoraggiamento sul mio cammino.
E ora che sono missionario in Africa l’antica amicizia con Teresa è divenuta ancor più forte. Una ragazza, suora di clausura appena quindicenne e mai uscita dal monastero carmelitano di Lisieux in Francia fino alla sua morte a soli 24 anni, come può essere indicata a patrona delle missioni della Chiesa? Questa domanda mi ha sempre molto interrogato. Quando pensiamo alla missione abbiamo in mente lunghi viaggi, grossi progetti, grandi costruzioni, aiuti senza sosta e il missionario è spesso visto quasi come un eroe o quantomeno come uno sempre indaffarato, tra non pochi sacrifici, in mille necessità a cui cercare di porre rimedio. Forse è un po’ vero anche tutto questo, ma comprendo sempre più che l’essenza della missione è ben altro e santa Teresa di Gesù bambino l’ha ben capito.
Ed è proprio lei che parla della “piccola via”. Essere autentici discepoli di Gesù – cioè diventare santi – non è questione di fare cose eroiche e straordinarie ma è vivere con gioia, amore e umiltà le piccole cose che fanno la nostra vita di ogni giorno ovunque ci troviamo e a qualunque stato di vita apparteniamo.
Penso che sia un po’ la stessa cosa anche nella mia esperienza missionaria e in tutte le missioni della chiesa specialmente nei paesi più poveri del mondo. Sì, è vero, ci impegniamo in progetti grandi e buoni – e tra l’altro ci accorgiamo che siamo sempre inadeguati e si dovrebbe fare molto di più! – ma poi alla fine la missione si misura sulle cose più semplici e ordinarie nel rapporto con le persone che incontriamo.
Proprio in questo mese di ottobre avrà inizio “l’anno della fede” che il nostro caro Papa Benedetto ha indicato a tutta la Chiesa per vivere un periodo di riscoperta di quel dono che spesso diamo forse per scontato: la fede. Il Papa ci dice che l’incontro con Gesù ci ha introdotto a varcare “la porta della fede” per farci camminare sulla strada della fede, un cammino che dura tutta la vita. Ed è proprio qui che secondo me dobbiamo comprendere che questa strada è la “piccola via” di cui ci parla santa Teresa.
Noi missionari nelle terre di prima evangelizzazione dovremmo essere degli intenditori privilegiati di questo cammino di fede e se, mandati dalla Chiesa, siamo venuti fin qui è per proporre a tanti fratelli l’annuncio di Gesù morto e risorto per la salvezza del mondo. E ce la mettiamo tutta per essere fedeli a questa missione! Ma mi accorgo sempre più di come su questa via della fede siamo tutti dei poveri camminatori e di come il cammino è già ben tracciato dallo Spirito Santo. Tutto è davvero occasione per essere missionari anche e specialmente le cose più semplici e ordinarie di ogni giorno.
Un piccolo fatto. Alcune settimane fa c’era un incontro di tutti i preti della nostra zona e la parrocchia scelta per il ritrovo era a Sir dove ora ci sono i preti locali. Io avevo deciso di andarci in moto. Da Mogodè a Sir ci sono due strade: la prima di solo una decina di Km, ma un po’ più impegnativa anche solo in moto e l’altra, dove dovrebbe passare anche la macchina, più lunga, di una quindicina di Km. Il problema è che in questo periodo le piogge rendono la viabilità qualcosa di “speciale” e non di rado c’è il rischio di un bel acquazzone strada facendo. Vabbè, io con zaino in spalla e un cartone di una ventina di kg di patate da portare in dono ai preti di Sir ben legato dietro la moto, ho deciso la via più corta e difficile che tutti mi sconsigliavano perché in alcuni punti fango, pozze e vere e proprie falde nel terreno causate da fiumiciattoli che rinascono in stagione delle piogge, potevano rendere ben arduo il percorso. Ed è stato proprio cosi. Non mi soffermo sui dettagli, ma un viaggio che in stagione secca dura poco più di mezz’ora mi è costato quasi due ore. Più volte mi sono trovato a scendere e spingere la moto ma a un certo punto un mio errore di calcolo mi ha proprio fregato. In un punto, una pozza insidiosa ma che pareva passabile si è rivelata una vera trappola. Mi ritrovavo con tutto il davanti della moto completamente immerso nell’acqua e con la ruota dietro infossata in un fango viscido che non dava possibilità di forza per uscire in alcun modo. Ed ero in una parte del sentiero dove non c’era anima viva e sulla strada nessuno era stato sprovveduto come me e anche le poche moto che solitamente passano forse avevano fatto quel giorno l’altra strada. Con le mie sole forze le ho tentate tutte per sollevare il mezzo … ma niente da fare! Ho strappato rami dalle piante vicine per mettere sotto la ruota motrice come avevo fatto in un punto precedente ma stavolta … insuccesso completo! A niente son servite neppure le non poche parole per nulla gentili che tiravo contro l’avverso destino (in italiano!!!) e anche contro quel cartone di patate che, in uno slancio di generosità, avevo deciso di portare in dono e il tutto con i piedi e oltre ben immersi nell’ostile pozza fangosa. Mi accorgevo poi di essere ormai in grande ritardo per l’incontro e mancavano ancora 4 km! E pure il telefono non prendeva in quel posto! Intanto, ormai scoraggiato, continuavo a cercare se c’era qualcuno nei paraggi quando un bel po’ più in là mi sono accorto di una donna che lavorava nei campi e che non avevo mai visto anche se lei forse mi conosceva. Ho lasciato la moto e sono andato a vedere se c’era qualcun altro ma era sola e non capiva una parola in francese. In qualche maniera, con gesti e il mio povero kapsiki, ci siamo intesi e, arrivati alla moto, ci siamo messi al lavoro. Era una donna di non più di vent’anni e davvero piccola di statura (ben al di sotto della mie spalle!) ma molto sveglia. Ha subito capito il problema e con una forza e spigliatezza incredibili ha preso dei grossi sassi che ha messo nella pozza dietro la ruota davanti e poi assieme – ma il più dello sforzo l’ha fatto lei – abbiamo alzato da dietro la moto e pian piano ce l’abbiamo fatta a tirarla fuori. Io, sbalordito, non facevo che ringraziarla e lei sorrideva. E forse rideva anche un po’ di me grande e grosso e … imbranato! E aveva ragione!!! E così, come se niente fosse – o meglio come se aiutarmi era la cosa più normale da fare – se n’è andata contenta. Io mi sono rimesso in sella alla moto e, non dopo poche fatiche a riaccendere il motore, sono ripartito.
Al di là di questo mio semplice racconto, mi accorgo che “la piccola via” della fede in terra di missione è sempre un po’ cosi. Non è per nulla facile intendiamoci: la strada è spesso stretta e insidiosa … ma sulla strada incontriamo ogni giorno fratelli e sorelle e tutti in qualche maniera sono un aiuto per comprendere la bellezza della presenza di Dio nella nostra vita. E spesso sono proprio le persone più umili e povere che ci donano di più! E davvero il Signore non manca di inviarci tanti segni, piccoli e semplici, ma marchio sicuro del suo amore.
Così come l’accoglienza gioiosa della gente al mio rientro dalle vacanze, specialmente i tanti bambini e ragazzi… sempre monelli e simpaticissimi con zra père Alexandro!
Sì, sono già trascorsi 40 giorni dal mio rientro dall’Italia e il tempo passa veloce e spesso faccio fatica a starci dietro! Mi sono infatti ributtato a pieno in questa vita africana nella bella e grande parrocchia di Mogodé con le sue tante attività e… il lavoro non manca! Grazie a Dio la salute è ottima e il fisico fa il bravo!!! Certo che qualche kiletto preso in vacanza mi ha di già salutato!!!
Scherzi a parte, i due mesi e più di vacanza sono stati per me un tempo molto buono e ho rivisto con piacere tante persone. E anche l’incontro con l’amata parrocchia di Lomazzo mi ha ulteriormente riempito il cuore di gioia. Certo non sono riuscito ad arrivare da tutti e a donare il massimo a chi ho incontrato ma ho fatto davvero il mio meglio! Comunque sia ho toccato ancora una volta con mano un affetto che è sempre forte e gioioso nei miei confronti e di questo ringrazio il Buon Dio e tutti voi. Anche perché da solo so bene di non meritare nulla! Ho capito meglio poi che la mia “piccola via” in questa stagione della mia esistenza è qui in Cameroun dove sono stato chiamato e che tutte le persone care che fanno la storia della mia vita – ognuno impegnato al meglio nel suo cammino – rimangono per sempre con me sulla strada… anche a distanza di km!
Ora vi saluto e lo faccio anche a nome di tutti gli altri missionari di Como con cui condivido il servizio in questa terra e ovviamente di tutta la nostra gente. E da parte di tutti un grande grazie anche per la generosità e per gli aiuti.
Buon cammino e … un forte abbraccio! Sempre siete nella mia preghiera.
don Alessandro