13 settembre 2012, Korogocho – Nairobi – Kenya La logica del Vangelo!

 

Korogocho, 13 Settembre 2012

Avevamo appena letto le parole di Gesu’ nel Vangelo di oggi: “Amate i vostri nemici, pregate per quelli che vi fanno del male… se amate solo quelli che vi amano che merito ne avrete? Anche i pagani fanno lo stesso…”. Stavo commentando queste parole alla piccola comunita’ che tutte le mattine si ritrova per la messa quotidiana, a St. John. Improvvisamente si sentono grida dalla strada, vicinissime; la gente si guarda attorno, ma non si scompone; anch’io mi fermo un attimo, poi riprendo. Ormai siamo abituati a questi momenti. Avranno derubato qualcuno sulla strada, penso io, e tutti i presenti. E si continua.
Dopo la messa veniamo a sapere che era accaduto qualcosa di ben piu’ grave: tre giovani, ancora ragazzi, aveva tentato di derubare un uomo sulla strada, uno dei tre l’ha ferito con un coltello, ma lui ha reagito e, insieme ad altre persone, hanno bloccato l’assalitore mentre gli altri due scappavano. La ferocia della folla non gli ha dato scampo ed e’ morto assassinato da quelli che voleva derubare. Il corpo era ancora steso in terra, per meta’ sull’asfalto, per meta’ nel fosso. Qualcuno lo copre con un lenzuolo, unico segno di pieta’ verso chi, a detta di molti, meritava quella fine. La gente si raggruppa e rimane a vedere, mentre il tran tran sulla strada, nel tratto quasi di fronte al cancello di St. John, continua quasi indisturbato. Arrivano tre poliziotti e l’unica csa che fanno e’ sollevare con un piede un pezzo di lenzuolo, quasi sotto ci fosse un cane o qualcosa di estremamente contagioso.
Mi dicono che si chiamava Kamau ed era uno dei piccoli delinquenti che scorazzavano sulle strade di Korogocho. Diciotto anni, forse meno. Tante, tantissime volte era stato pressato a lasciare questa vita perche’ sarebbe finito male, ma lui non ha mai voluto ascoltare. “Colpa sua”, dicono, “se l’e’ cercata.”
Alla sera, durante la messa del giovedi’ per le strade di Korogocho (questa sera eravamo in una piazzetta  di Ngunyumu), le parole del Vangelo risuonano ancora piu’ forti e sconcertanti. Leggendo lo stesso Vangelo del mattino, adesso sappiamo cos’e’ successo. “Se chi ha ucciso Kamau questa mattina”, chiedo alla gente durante la meditazione, “dovesse arrivare qui adesso e sedersi tra noi, cosa gli diremmo? In che modo gli leggeremmo le parole di Gesu’? Che senso avrebbero per lui, e che senso hanno per noi in un posto cosi’ traboccante di violenza e di frustrazione?”
Non rispondo, un po’ per lasciare ad ognuno la sua ricerca, un po’ perche’ la risposta non ce l’ho. So pero’ che questo dell’amore per i nemici e’ proprio la carta d’identita’ del cristiano, seguace di Gesu’ di Nazareth. Non e’ l’amore per il prossimo, ne’ l’aiuto ai piu’ poveri; non e’ la catechesi ne’ alcun tipo di dovere morale. E’ proprio questo amore folle e sconcertante per chi ti vuole fare, o ti sta facendo o ti ha fatto del male. Perche’? Semplicemente perche’ Gesu’ ha fatto cosi’. Non e’ facile, in posto come Korogocho.
Tra le due Messe di oggi, c’e’ stato il funerale di Consolata. Qualcuno dice che aveva quarant’anni, qualcun altro cinquanta; difficile stabilire l’eta’ di questa donna, nostra vicina di casa, assidua nostra frequentatrice, distrutta sotto il peso di una vita, anche questa sconcertante. Un uomo dopo l’altro, il rifiuto da parte della sua famiglia, l’alcool, la malattia. Lascia due figli, Franco, malato di testa che vive al villaggio con quello che apparentemente e’ suo zio; e Mary, una ragazzina di St. John che danza alle Messe della domenica e che si ritrova completamente sola, a Korogocho, all’eta’ di undici anni. Alla notizia della morte di Consolata ci mobilitiamo come comunita’ per rintracciare la sua famiglia: non si puo’ seppellire qualcuno in Africa senza la famiglia. Appare un signore che dice di essere suo cugino, e dopo un paio di giorni di trattative e contatti con il villaggio, ci comunica che Consolata non puo’ essere seppellita al villaggio (cosa invece normale e d’obbligo tra i Luo) e che la famiglia non e’ in grado di accollarsi le spese del funerale. Scaricata e abbandonata, anche da morta. Alla presenza di Irine e Mary, due nostre cristiane, gli dico che la nostra comunita’ non abbandonera’ di certo Consolata (anche se non era battezzata, ma questo agli occhi di Dio deve contare ben poco…), che ci prenderemo cura di lei e di Mary; gli dico pero’ anche la mia tristezza e il mio sconcerto perche’ e’ la prima volta che vedo una famiglia defilarsi cosi’ davanti al funerale che normalmente invece, almeno in Africa, riporta insieme quasi miracolosamente i membri della famiglia, anche i piu’ lontani. La seppelliamo al cimitero cittadino di Langata, diviso in due da un cancello interno: la parte per i morti ricchi, con tombe di pietra e piccoli monumenti, e la parte per i morti poveri: un buco in terra con una croce di legno. I poveri, quelli veri, sono discriminati anche da morti. Mary, un’altra nostra cristiana, mi spiega, quasi consolandomi, che questo e’ il destino delle ragazze e delle donne abbandonate: una volta perso il marito, e’ difficilissimo per loro essere accettate nella famiglia del marito, ed e’ umiliante e quasi impossibile ritornare a quella di origine. La comunita’ cristiana di St. John risponde all’appello e partecipa in un discreto numero al funerale: tutti fanno qualcosa, per rendere questo triste momento un successo. E ci riusciamo.
C’e’ davvero qualcosa che non va in questo nostro mondo cosi’ ingiusto e violento. C’e’ la violenza di un assassinio sulla strada da parte della folla inferocita, e c’e’ la violenza, molto piu’ subdola, del rigetto, giorno dopo giorno, dei poveri e dei “peccatori pubblici”, come Consolata. E c’e’ la folla, a volte inferocita che si fa ingiustizia, altre volte indifferente, che cammina accanto ad un ragazzo assassinato come se niente fosse successo. Com’e’ che siamo arrivati a questo punto? Com’e’ che non ci accorgiamo di questo obbrobrio che ci siamo costruiti?
Da quando sono tornato dall’Italia ci sono state diverse morti, tutte di persone vicine. Consolata, ma prima ancora Ann, un’altra nostra vicina, anche leri uccisa da alcool e malattia. E poi Ibrahim, uno degli alcolisti in riabilitazione a Kibiko: per motivi di salute e altre ragioni piu’ complesse, aveva lasciato il centro ed era tornato a Korogocho, dove e’ morto dopo due settimane. Ma quando finira’ questa strage dei poveri, forse un po’ colpevoli di tante cose nelle loro vite, ma di certo privati di ogni possibile alternativa, ignorati nei loro bisogni piu’ fondamentali? Cosa facciamo noi? Al limite alziamo un pezzo del lenzuolo che li copre (da morti), piu’ per curiosita’ che per altro, proprio come il poliziotto questa mattina.
Rientro alla sera, dopo la Messa, stanco morto e un po’ triste, nonostante il funerale sia andato bene. E mi arriva la luce necessaria per riprendere forza, coraggio e speranza. Viene Kenisha (la Rut di qualche mia lettera fa…), ci rivediamo dopo i tanti mesi delle mie vacanze. Sta facendo bene, sta resistendo nella sua nuova vita. “E adesso la bella notizia!”, mi dice trionfante, “ho riportato a casa le mie tre bambine!”. Le aveva date a parenti diversi, tanti anni fa, perche’ la sua vita di strada non le permetteva di essere una buona mamma. Adesso la sua vita e’ cambiata e lei ha lottato (e’ andata perfino in tribunale) per riaverle. Ha vinto e adesso vivono con lei; sono cosi’ felici che alla sera, invece di dormire, stanno a chiacchierare con la mamma fino all’una di notte. Solo con un lavoro a giornata non e’ facile tirar su tre figlie (13, 8 e 5 anni), ma Kenisha ha una forza straordinaria e sa, e so, che ce la fara’.
Che distanza tra il piede del poliziotto che alza il lembo del lenzuolo sul corpo di Kamau, e gli occhi di Kenisha orgogliosa di essere di nuovo mamma. Che abisso tra l’indifferenza curiosa della folla sulla strada e la cura materna di Kenisha per le sua bambine (“Voglio recuperare tutto il tempo perduto in cui non ho potuto, voluto stare con loro”).
Korogocho e’ tutto questo. Il nostro mondo e’ tutto questo. E il Vangelo, parola viva di Gesu’ di Nazareth vi entra dentro, in profondita’, come una spada a due tagli, creando una discriminante che ci obbliga alla scelta. Almeno cosi’ dovrebbe essere per noi che ci diciamo cristiani.
Un abbraccio grande,
Stefano

 padre