Il primo lunedì di avvento con la piccolo comunità che frequenta la messa quotidiana avevamo appena sentito le parole del profeta Isaia: “Forgeranno le loro spade in vomeri”, ovvero attrezzi agricoli, quando il rombo di un aereo da guerra ha iniziato a farsi sentire in lontananza. In effetti il velivolo Antonov, ben noto in Sud Sudan, è un modello russo generalmente destinato al trasporto di merci, ma da più di vent’anni viene usato dal governo di Khartoum per bombardare aree abitate da popolazione ribelle. Nel caso in questione l’aereo sorvolava il cielo di Malakal diretto all’Ovest del Sudan, verso il Darfur, dove da anni è in corso una rivolta armata contro il Governo centrale. Oppure l’aereo si dirigeva verso i Monti Nuba, dove lo scorso giugno è iniziato un conflitto armato fra il movimento SPLA Nord e l’esercito di Khartoum.
Il contrasto fra la profezia di pace di Isaia e la realtà del rombo dell’Antonov era stridente. In un momento di scoraggiamento una si può domandare: ma quando si avvereranno quelle parole? Fino al luglio 2011 il Sudan era il Paese più grande dell’Africa: un territorio nove volte l’Italia, con più di 50 lingue e un numero equivalente di tribù e culture diverse tra loro. Con l’indipendenza del Sud Sudan, acquisita dopo mezzo secolo di guerra, è stato fatto un grande passo avanti sulla via di una pace figlia della giustizia, nel senso che ogni popolo ha diritto all’autodeterminazione. Tuttavia non tutte le maggiori questioni sono risolte. Il paragone con la ex-Jugoslavia può essere utile. A volte nella storia grandi unità nazionali tenute insieme da un forte governo centrale vengono costituite in maniera artificiale, ovvero senza tenere in debito conto la volontà dei popoli interessati. Quando le tensioni aumentano, il risultato può essere la disgregazione di un corpo che non era mai stato veramente coeso.
Dopo la separazione dal Nord del Paese, il Sud Sudan gode ora di una relativa pace, ma altre aree della Repubblica del Sudan sono in fermento; in effetti per la maggior parte di esse si può parlare di no stato di guerra aperta con il Governo centrale. Non è facile prevedere se il risultato finale sarà un’ulteriore frammentazione del territorio, ma nel frattempo Khartoum continua a mandare i suoi aerei a bombardare i ribelli. Ecco allora i velivoli Antonov che attraversano illegalmente lo spazio aereo del Sud Sudan e possono essere visti e sentiti anche a Malakal.
La pace rimane dunque un sogno lontano per le popolazioni dei Monti Nuba o del Darfur, e questa situazione di conflitto ai confini toglie ai Sud Sudanesi parte della gioia dell’indipendenza recentemente acquisita. Comunque un dialogo con un’anziana signora membro di uno dei gruppi della parrocchia ha dato una risposta di fede alla mia domanda se sia possibile che la profezia di pace del profeta Isaia diventi una realtà. La questione dibattuta era la differenza fra la situazione attuale e gli anni scorsi. Alcuni giovani commentavano come durante la loro infanzia pensavano che la guerra non sarebbe mai finita. Anche al momento della firma dell’accordo di pace del 2005 erano rimasti guardinghi, ma avevano cominciato a credere nella pace quando avevano visto la rimozione dei posti di blocco alle porte della città e quindi le celebrazioni con canti e tamburi. L’anziana signora intervenne: ‘Sì, la guerra è stata fermata.’ Al che io domandai: ‘Chi può fermare la guerra?’, e lei rispose senza esitazione: ‘E’ Dio che ferma la guerra.’
Il 9 luglio è stato un’esplosione di gioia, soprattutto nelle città. L’entusiasmo è stato incontenibile. Nei mesi successivi, nonostante le difficoltà di ogni genere che incontra un Paese che deve iniziare a costituirsi come nazione, l’atmosfera si è mantenuta positiva. La consapevolezza di essere finalmente liberi dà alla gente una nuova dignità. L’acquisizione del fondamentale diritto alla libertà ha cambiato il Sud Sudan. C’è voluto parecchio tempo perché la gente si convincesse effettivamente che non si trovavano più sotto il ‘dominio arabo’. Le etnie del Nord Sudan fin dai tempi della schiavitù sono infatti considerate aliene al Sud e ci vorranno alcune generazioni prima che popoli e culture molto diversi riescano a entrare in una relazione egalitaria superando un difficile bagaglio storico.
E’ convinzione della maggior parte delle persone in Sud Sudan che la loro lunga supplica a Dio abbia avuto un ruolo determinante nell’ottenere la tanto sospirata pace. Effettivamente non ricordo una messa domenicale senza una preghiera per la pace. I notiziari informavano dei vari negoziati, dei loro progressi e regressi e delle acrobazie diplomatiche per convincere Khartoum a lasciare libero il Sud di scegliere il proprio futuro. Sicuramente alcuni compromessi di natura economica sono stati necessari per arrivare alla firma del cessate il fuoco, ma non credo che questo sia tutto. Ugualmente in questi mesi seguiti all’indipendenza i negoziati fra Khartoum e Juba, rispettivamente le capitali del Sudan e del Sud Sudan sono continuati ma non hanno prodotto risultati evidenti. L’assegnazione di alcune aree contestate e la divisione dei proventi del petrolio rimangono questioni irrisolte. I toni si stanno riscaldando e la parola ‘guerra’ è stata qui e là menzionata. Riflettevo all’inizio di questo tempo di avvento come il Salvatore sia più che mai necessario alla nostra storia umana. Come hanno intuito molti sud sudanesi, la pace non è solo frutto di dialoghi politici, dove l’interesse prevale. Anche i dialoghi meglio intenzionati devono fare i conti con ‘il mistero del male’. All’interno dei negoziati ci deve essere qualcuno che a un certo punto lascia perdere quello che è un interesse politico o economico limitato per lasciare spazio a una prospettiva più grande, rispettosa di almeno qualcuno dei valori umani. Solo la presenza dello Spirito di Dio può dare vera pace a questa vita.