Mentre stiamo preparandoci al Natale eccomi nuovamente per condividere con voi un tratto del percorso fatto quest’anno dalla Casa do Sol, in alcune azioni realizzate che per la loro incidenza diventano realmente atto di piantagione.
Durante la riflessione all’interno dell’equipe degli educatori su un titolo che potesse sintetizzare i principi e i valori che orientano le attività di ogni progetto di Casa do Sol, i termini piantare e seminare sono stati discussi e confrontati lungamente: sia uno che l’altro toccavano anche il vissuto di ogni persona, alla fine è stato scelto piantare.
Tutti hanno concordato che Casa do Sol ha sempre più chiarezza della preziosità delle sementi che gli sono affidate, e per questo non può spargerle indistintamente o non può lanciarle sperando nella buona sorte; ne ha la massima cura perché nessuna si perda, deve cercare lo spazio propizio dove ognuna possa germogliare, poiché dopo 22 anni di vita ha acquisito le conoscenze e le competenze per contribuire a farle crescere, fiorire, fruttificare e diventare a loro volta sementi e seminatrici.
Ritornando ho trovato la Casa do Sol come sempre nel fermento delle attività quotidiane e nell’entusiasmo per altre che sono iniziate quest’anno. Con Tatà, il direttore che accompagna tutto con dolcezza e fermezza e di cui ricevo molto elogi dai partner locali di Casa do Sol, e l’equipe di coordinazione che garantiscono che tutto si svolga con la coerenza e la tenerezza che abitano persone e spazi.
Lungo i corridoi i sorrisi e le grida dei piccolini che la colmano di tenerezza, nelle aule i gruppi immersi nelle loro attività, i bambini nuovi entrati quest’anno nell’asilo, che oramai hanno imparato a condividere materiali e giocattoli e che, certi dell’alimentazione che arriverà fino all’ultimo e di cui non saranno privati, attendono con calma che tutti siano serviti, per iniziare a mangiare, dopo il ringraziamento collettivo che il bambino di turno ha proposto, nella ricchezza delle esperienze e delle molteplici e differenti matrici religiose delle loro famiglie. Ho potuto più volte sorprendermi per l’abilità delle insegnanti nel gestire i conflitti che sorgono all’interno dei gruppi e nel proporre diversi modi di affrontarli. I bambini provengono da ambienti conflittuali e violenti, dove le tensioni vengono quasi sempre risolte con la forza. Soprattutto al lunedì mattina, raccontano episodi che fanno raggelare noi adulti. Millena, bellissima bambina, super vivace, il cui malessere in certi giorni esplode incontrollato (il padre trafficante ucciso lo scorso anno, la mamma, ragazza molto bella, che fa di tutto per garantire l’essenziale ai tre figli piccoli) la settimana scorsa, appena arrivata di mattina, sulla soglia della sua aula dice sottovoce all’insegnante: Oggi credo che Jonatan, abbia bisogno di un abbraccio, vado subito da lui! Il giorno precedente lui aveva buttato per aria giochi e sedie, ritirandosi poi in un angolo a piangere.
I bambini più grandi del doposcuola, a volte seri e preoccupati, si immergono nelle attività scolastiche o nelle lunghe discussioni in cerchio in cui imparano ad ascoltare e a esprimere con coraggio le proprie posizioni e ad organizzare le proprie idee. Anael, di otto anni, ha scritto quest’anno ai padrini italiani: “mi piace molto venire in Casa do Sol, qui abbiamo tutti i giorni il circolo di condivisione, che è una delle dinamiche di Casa do sol, discutiamo insieme imparando a comprendere la vita”.
Sono tre gruppi in Casa do Sol e due nella scuolina esterna di Cajazeira 4, dove per accedervi o uscirne bisogna passare attraverso il gruppo dei ragazzini spacciatori che controllano la zona, che con noi sono sempre gentili. Sanno chi siamo. Un pomeriggio, ritornando dopo aver partecipato al Circolo di Pace delle mamme che l’insegnante Marilene porta avanti, ho “dovuto” prendere una frittella della loro merenda, che mi offrivano con insistenza e gentilezza.
Gli adolescenti che in giorni diversi, con irruenza arrivano a gruppi cercando i loro compagni, il loro professore, e che nei loro gruppi musicali, di danza o di teatro fanno risuonare ritmi, note, canti, recite e spesso il loro discutere acceso e appassionato. Sono belli, contagiano col loro entusiasmo e ci sorprendono con i talenti che rivelano. Ogni anno tra i ragazzi nuovi che entrano emerge qualcuno con talenti sorprendenti. Quest’anno ho conosciuto Janaina chiamata dai compagni “Wikipedia”, perché a ogni loro domanda ha una risposta, ragazza ben scura, con una montagna di capelli ricci che le incoronano il viso, la più assidua in biblioteca, ogni tanto Gilmara non sa più che libro suggerirle. Spronata dal professore di musica ha provato a cantare e nella Tarde Cultural, ha cantato due canzoni con una voce molto bella, un sorriso e una postura di donna forte che straripava allegria. Janaina, abita con la mamma e 3 fratelli più piccoli in un minuscolo appartamento ricevuto dal Programma governativo: Minha casa, Minha vida. Come la maggioranza, del padre non parla.
Lo spazio della Casa do Sol è un andirivieni continuo di persone, piccoli e grandi, che vengono per le attività, per godere della Biblioteca e dei suoi libri, per offrire un momento del loro tempo, per portare qualcosa, per essere ascoltati, per trovare un attimo di ristoro alle loro enormi fatiche.
Come ogni anno con Valdirene, l’Assistente Sociale abbiamo visitato le 53 famiglie che hanno chiesto che potessimo accogliere un loro bambino, nel primo anno della Scuola Materna. Di questi dovevamo selezionarne 20. Durante giorni siamo scese e risalite nei pendii delle occupazioni o nelle scale già rovinate dei palazzi di 4 piani, del nucleo abitativo del Progetto MInha Casa Minha Vida, con appartamenti di 35 metri quadrati, che ha accolto in un attimo 400 famiglie, provenienti da zone a rischio o situazioni di grande disagio, battezzato “Chiaro di Luna”, vicinissimo a noi.
Queste visite sono per me uno dei momenti più importanti vissuti qui. Nei pendii già conosciamo molte famiglie e ogni anno è un ritorno a un mondo di cui conosco storie almeno di due generazioni, i legami famigliari che intessono le loro relazioni, ma anche molte vicende che hanno diviso, separato, svuotato case o stradine.
Negli appartamenti è tutto da conoscere e da comprendere. Quest’anno abbiamo trovato, tra le altre, molte famiglie provenienti dal quartiere delle palafitte, Alagados, spostate per poter bonificare l’area che era diventata invivibile.
Anzitutto devo dirvi che abbiamo trovato la situazione di tutte queste famiglie molto peggiorata. E’ tornato di nuovo lo spettro della fame: in una sola c’era uno stipendio garantito dal lavoro regolare del papà. Nelle altre la risposta era sempre: disoccupato. Questo non significa gente che non fa niente, ma persone che accettano qualsiasi lavoro giornaliero, mal remunerato, a volte rischioso, anche perché non hanno nessuna professionalità. In molte famiglie i genitori sono ambulanti che in strada tentano di vendere di tutto e molte altre, soprattutto nei condomini, ci rispondevano, alla richiesta di quale fosse la loro professione: siamo riciclatori!
Questa risposta è ambivalente. Da un lato denota l’ulteriore impoverimento della gente, riciclare significa, uscire al mattino al buio, prima che passino i camion dei rifiuti, per frugare nella spazzatura alla ricerca di alluminio e plastica, gli unici materiali che vengono comprati. Ma cosa dire della fierezza con cui alcune donne hanno detto di fare questo lavoro? Per loro è diventato una professione. Una volta si diceva: Catadores de lixo. Oggi: recicladores. E’ sì un lavoro sporco, ai nostri occhi umiliante, ma per molti di loro non lo è più. Queste donne si dicono coscienti dell’importanza di ciò che fanno come contributo alla cura dell’ambiente.
Quanto, quanto vorrei raccontarvi di questi incontri, fatti soprattutto di ascolto, a volte in una mattina riuscivamo a vedere non più di due famiglie. Spesso dovevamo fare uno sforzo enorme per contenere le lacrime, a volte abbiamo pianto con le donne che avevamo davanti, sedute come noi in divani disfatti e puzzolenti, in bordi di letti dove dormono tutti insieme, in pavimenti non sempre puliti, sulle soglie delle case per non soffrire il caldo torrido sotto i tetti di eternit. Di tutte le famiglie che abbiamo visto, otto ci hanno raccontato di aver perso i figli, uccisi per essere coinvolti nel traffico di droga.
Voglio farvi conoscere almeno Cristina e Doralice.
Cristina, viene dalle Palafitte, nella sala dell’appartamento dove ci ha accolte, un divano disfatto e la seggiolina di plastica colorata dove Jamile è seduta. Età indefinibile, volto segnato da rughe e cicatrici, pantaloni e maglietta grandi e larghi, così ci ha accolto. Alla nostra domanda: da dove venite? Cristina ha iniziato un racconto che è durato quasi un ora. “Quando avevo otto anni la mamma è morta, siamo rimasti noi quattro, due sorelle e due fratelli, il papà è andato a San Paolo a cercare lavoro, ci ha lasciati con la zia, che poco dopo ha venduto la casa lasciando per noi la casupola nel fondo del terreno, senza finestre, senza bagno……….abbiamo cominciato a uscire dal quartiere, gli autisti dei bus ci lasciavano salire e abbiamo scoperto il centro città, bello, grande, dove gente diversa da noi ci dava sempre qualcosa, pian, piano non siamo più tornati a casa. Sono cresciuta li, prima ho sperimentato la colla poi è arrivato il Crack, è stato il mio sostegno per tanti anni!uando avevoQ
Con quanti altri nella nostra situazione abbiamo vissuto! Tra questi Cesar che un giorno è stato ritrovato da una zia e ha accettato di tornare a casa con lei. Poco dopo è venuto a offrirmi di andare anch’io dalla zia. Ho capito che questo poteva dare una svolta alla mia vita, da lei per poter dimenticare la droga, al mattino chiudevo con le chiavi il locale dove dormivo e le buttavo da un buco/finestra chiedendo che mi lasciassero lì fino a sera, anche se chiedevo di uscire gridando o piangendo. E’ stata una prova difficile, ma sono ritornata libera! La zia poi mi ha affidato la responsabilità di un minuscolo negozietto, sono riuscita a rimanere lì un anno senza mai toccare un centesimo. La sua fiducia mi ha fatto sentire capace e coraggiosa.
Con Cesar abbiamo ottenuto questa abitazione e ho preso con me Jamile, la figlia di mia sorella che continua ad usare crack e che vuol rimanere in strada. Un mio fratello è stato ucciso dalla polizia e l’altro non so dove sia. Jamile mi sta insegnando a diventare mamma, mi sta insegnando a dare e accettare affetto, lei mi sta trasformando!
Alla domanda su come si mantenessero, Cristina ha risposto con orgoglio che entrambi sono “recicladores”, che in strada ha imparato a selezionare i materiali, a dividere i metalli diversi dei cavi che trova, a ordinarli e che sa anche lavare bene le macchine………………..
Non ci sono commenti vero? Ogni nostra parola profanerebbe questa storia dove le scintille del Divino hanno avuto il sopravvento.
Doralice, otto fratelli, sei figli, nessun marito attualmente, proviene dal quartiere delle palafitte. Un fratello ucciso dalla polizia, un figlio, il primo ucciso all’interno del condominio, a causa della disputa per il controllo del traffico, la più grande l’abbiamo vista in casa, portatrice di uno squilibrio psichiatrico, gli altri a scuola. Lei ha bel viso, due occhi verdi vivacissimi, mentre parla rivela una bocca senza più denti. Seduta in terra, perché io e Valdirene, abbiamo dovuto sedere sulle uniche due sedie dell’appartamento, vicino a lei Karine, bimba magrissima, con lo sguardo perso nel vuoto, la manina e il piede destro atrofizzati. “Ho chiesto di poter inserire Karine in Casa do Sol di cui ho sentito parlare così bene, perché mi aiutiate a crescerla, voglio che diventi una brava ragazza capace di gestire la sua vita, mi preoccupo più di lei che dei miei figli!” Karine è figlia della sorella minore che ha subito violenza e ora è curata nell’unico ospedale psichiatrico della città.
Il padre dei figli non voleva che lei prendesse con loro questa bambina e se ne è andato, ma ogni mese passa qualcosa alla famiglia che completa la rendita con un sussidio governativo e la vendita dei ghiaccioli che Doralice prepara in casa. Questa mamma racconta tutto senza vittimismo, senza imprecare, senza lamentarsi, senza condannare la sorte, il marito, e tanti che hanno provocato violenza e sofferenza. Il suo cuore colmo di amore le ha permesso di riconoscere le sementi di luce che la circondano.
Come non sentirsi privilegiati per essersi potuto accostare a queste persone, che ci rivelano il volto di Dio fatto bambino, presente tra i più poveri?
Di una nuova iniziativa di Casa do Sol, voglio raccontarvi brevemente. Il corso di formazione per Giuristi Popolari, iniziato in agosto e previsto con la durata di due anni. Dallo scorso anno quando sono stata qui, siamo stati provocati dall’equipe dell’Associazione degli avvocati dei lavoratori – AATR – e da alcuni professori della Università Statale ad elaborare una proposta di formazione continuata per le lideranze di movimenti e gruppi che attuano nella città. Ci ritroviamo in un Paese entrato in una nuova fase della sua storia; l’intensificarsi delle dispute per il potere politico in ambito nazionale e locale ha coinvolto i territori e le stesse reti sociali comunitarie. L’odio e la violenza vengono propagati come materia o come componente naturale della società. Dopo i primi mesi di discussioni, il progetto è andato in porto, con l’obiettivo di contribuire a consolidare movimenti e organizzazioni sociali che attuano nella città di Salvador, attraverso una formazione sociale, antropologica, politica e giuridica e l’elaborazione di una strategia di lotta per i diritti e per una società giusta. La formazione ha tre versanti: la produzione di sapere, le riflessioni sul sapere costruito e l’azione sociale e politica.
Ho potuto partecipare a due tappe del corso, che occupa un fine settimana al mese. Sono 60 i partecipanti, provenienti da molti gruppi e movimenti di tutta la città di Salvador, donne e uomini, con la predominanza di giovani, tra cui anche alcuni adolescenti di Casa do Sol e giovani del Corso di Preparazione all’Università. Persone che nella loro partecipazione, nel loro aspetto, nel loro sguardo rivelano un livello di militanza e di impegno chiaro, radicato in una scelta di vita dedicata al bene comune. Mi è dispiaciuto molto non poter approfondire la conoscenza di ognuno di loro. Quanto avrebbero da condividere, quanto da insegnarmi………….
Filò, Joseane, Monica, Jacira, cuoche in Casa do Sol, vengono volontariamente, con affetto materno e passione a preparare pranzi e merende per i partecipanti, come forma per ripagare tanta dedicazione al loro popolo.
A voi miei cari, amiche e amici, compagne e compagni, che ci avete permesso di costruire questa storia, che continuate con fedeltà ad accompagnarci e che siete presenti ogni giorno nel ricordo e nella riconoscenza di piccoli e grandi, il mio, il nostro GRAZIE dal profondo del cuore.
Auguriamoci un Natale che alimenti i nostri sogni migliori, e un Anno Nuovo che ci insegni a lasciar brillare le sementi di luce nei nostri cuori e nella vita.
Vi abbraccio con immenso carinho!