Dicembre, il mese più caldo dell’anno, è arrivato, la gente cerca di scordare la minaccia terroristica gestendo le difficoltà della vita ordinaria. Le piogge sono arrivate un po’ prima, la scuola è finita (riprenderà a febbraio), io per fortuna sto bene di salute (alcune ferite fastidiose ai piedi, ma qui c’è di molto peggio) e continuo a inserirmi nella nuova parrocchia con l’aiuto fraterno dei comboniani.
È passato un anno dall’inizio del mio lavoro in Mozambico, mi sento decisamente fuori dalla sensazione poetica del missionario eroico e innamorato di una terra meravigliosa. Ancora attendo che il Verbo si faccia carne; e vedo quanto fa fatica. Il Verbo di Dio, la sua sconvolgente parola di misericordia, è ancora fermo fuori dalla porta delle persone, temo, mi sembra che sia percepito come una parola in lingua straniera. Si è fatto chiacchiera, anche qui: si parla di fede, inculturazione, cristianesimo con volto africano, ma si resta fermi all’idea che la Chiesa è cosa dei bianchi e deve andare avanti secondo uno schema europeo, con i soldi degli europei. Si è fatta culto, canto, celebrazione, belle invocazioni, ma che tante volte degenerano in un protocollo vuoto, o un teatro che garantisce un applauso ai capi di comunità o cerca un po’ di sentimentalismo e di entusiasmo che non si concretizzano fuori dalla cappella. Si è fatta regolamento, che soffoca la gioia di credere; le regole ci vogliono (qui, dove è difficilissimo viverla, mi rendo conto che la proposta del matrimonio cristiano fa veramente il bene delle persone) ed è giusto insistere perché siano rispettate, ma già alcune volte ho incontrato preti che si domandavano se non erano diventati dei poliziotti. Si è fatta struttura, che permette di aiutare le persone e contribuisce allo sviluppo del popolo, ma spesso soffoca, chiude il missionario in un mondo autoreferenziale e lo fa diventare una fonte di soldi da sfruttare.
Quando la parola si fa carne? Quando vedi persone che vivono dignitosamente grandi sacrifici, giovani che partecipano a Messa quotidiana con naturalezza, quando vedi la solidarietà tra poveri, quando le ingiustizie e le arretratezze che ti stanno intorno ti fanno gridare e chiedere che qualcosa cambi nel profondo. Quando vedi la diffidenza dei bambini sciogliersi con uno scherzo, la preoccupazione della gente ammorbidirsi comprendendo che il prete è umano e non gli interessa il piedestallo, vuole ascoltare prima che giudicare. Credo che in questi momenti il Verbo si fa carne, il Vangelo diventa parola viva che interpella e cambia la vita, la fede diventa un seme che lentamente modifica le convinzioni profonde e permette scelte coraggiose. Soprattutto il Verbo si fa carne quando tu ti incarni veramente nella storia di un popolo, nella vita delle persone, tante volte tremenda e inaccettabile ai nostri occhi. Ci sto provando a piccoli passi, riconoscendo che non potrò mai immedesimarmi e capire fino in fondo ma che voglio tenere gli occhi aperti per capirli e per riconoscere le meraviglie che Dio vuole fare in loro.
Sono certo che il Verbo si è fatto carne, e sempre più lo sarà: non per merito mio o della nostra buona volontà. Spero per me e per tutti gli amici che i nostri occhi si aprano sempre più nel riconoscerlo.
Buon Natale!