Domenica 24 settembre 2023, giorno indimenticabile per la parrocchia di Mirrote in Mozambico.
È una espressione che qui si usa spesso, ma al netto della retorica è vero che domenica scorsa si è celebrato un passaggio cruciale per questa gente dove la storia scorre con ritmo lento e ogni passo avanti spesso è accompagnato da altri passi indietro.
Dal 2009 nessun parroco viveva nella sede della missione, dagli anni ’70 i missionari comboniani erano legati alla cittadina di Namapa.
A partire dal 24 settembre 2023 un parroco italiano e un diacono macua vivono e seguono esclusivamente questa parrocchia, sperduta tra i monti, lontana dalle vie principali di transito.
Don Filippo Macchi e il diacono Cornelio sono entrati ufficialmente a servizio di questa parrocchia immensa, ben accompagnati. C’erano il vescovo di Nacala, un numero mai visto di preti e suore della diocesi, animatori di tutte le zone della parrocchia, un bel gruppo di giovani che hanno dato allegria a questa festa.
All’inizio è stato omaggiato il primo parroco, Antonio Mateus, morto nel 1953 nella missione che ha tanto amato. Poi la celebrazione, con il giuramento della nuova equipe pastorale, preghiere, canti, danze, il saluto di un vescovo e un prete figlio di questa terra, un messaggio dei comboniani che per decenni l’hanno servita.
Poi, non c’è festa senza tavola, ancora di più in questi posti dove la fame è una brutta bestia: ce n’era per tutti, il maiale, le due capre e le galline hanno fatto il loro buon servizio per la gioia di tutti i presenti. Taglio della torta, brindisi con moscato italiano, alcuni regali e tutto si è chiuso in bellezza. Tanta gratitudine per questo sogno che si avvera, iniziato nel 2016 con la prima visita di missionari comaschi in questa terra.
Con un occhio verso il futuro, pieno di preoccupazioni e di speranze e con tanta fiducia nella bontà del Signore. “Le misericordie di Dio non sono finite”, ne vedremo ancora delle belle!
don Filippo.
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il mio primo giuramento……
Il 24 settembre è stato il mio ingresso ufficiale come parroco, il mio primo giuramento: una festa solenne (testata dal pranzo con un maiale, due capretti, sette galline: non si scherza!), un punto di novità. Oltre all’ufficialità un po’ retorica che abbonda in queste occasioni, concretamente, c’è un altro elemento importante: mi è stato affidato un diacono nativo di questa diocesi, Cornelio, un ragazzo di talento e di buona volontà, che adesso vive con me. In prospettiva futura, la preparazione di don Angelo Innocenti a collaborare con me, la proposta di due congregazioni di suore e il sogno di avere qualche laico che possa condividere la mia vita, sono tutti fiori che, se Dio vuole, germoglieranno e aumenteranno la mia gioia.
Dunque, adesso che si sono spenti i riflettori e Mirrote ha smesso di essere il centro della diocesi e abbiamo raggiunto l’obbiettivo, torniamo alla normalità e ritorna, prepotente, la grande domanda.
Io, cosa sono qui a fare?
Sono in una bella casa, in un villaggio dove non c’è corrente elettrica e dove tutte le strutture pubbliche sono figlie del tempo della missione. La gente mi sorride, mi vuole bene, mi considera una porta aperta verso una realtà migliore. La parrocchia è lunga cento chilometri, molte comunità di villaggio disperse. Apparentemente il lavoro è moltissimo, in realtà te lo devi un po’ inventare. Non sempre la gente ti cerca (a volte lo fa per motivi sbagliati, sperando che il prete bianco sia un bancomat a buon mercato), a volte sfuggono per una profonda timidezza culturale, a volte chi mi sta vicino tenta di nascondere l’evidenza che la rete ministeriale di animatori impegnati nelle cappelle e nelle comunità disperse fa acqua da tutte le parti. Pensi a tante iniziative, ma spesso si bloccano davanti alle difficoltà economiche (“non possiamo metterci del nostro perchè siamo poveri”) e di comunicazione (“non mi hanno detto che c’era l’incontro”). A volte sono ragioni serie, a volte sono scuse. Per non parlare dell’analfabetismo, la difficoltà a capire e a esprimersi; alcuni giovani non sono mai andati a scuola, quelli che l’hanno fatta dimenticano in fretta quello che hanno imparato. Il Vescovo Inacio Lucas, nato in questa parrocchia e attivo in Mozambico, mi ha mandato un messaggio per la festa di ingresso dicendomi che con questo popolo, ci vuole pazienza, pazienza e ancora pazienza. Io ci provo, come fa l’agricoltore inesperto che va per tentativi e si chiede cosa è andato storto e cosa si può raddrizzare oggi. Al di là dei risultati e dei desideri sulla realtà che mi circonda, il primo lavoro è su se stessi. Ho la gioia grande di avere tempo di pregare e di affidare gli amici lontani e quelli vicini, le situazioni che sto affrontando e quelle che sono fuori dalla mia portata, dipendono dalla volontà degli altri. Posso confrontarmi con il Vangelo e con questa cultura affascinante e terribile (l’aiuto del diacono, di alcuni animatori e dei missionari veterani è preziosissimo), questo mi fa crescere più di tanti viaggi e code e incontri stancanti. La chiesa locale è un grande aiuto, il Vescovo di Nacala è molto paterno e concreto, c’è una grande storia di responsabilizzazione e di formazione di laici, che non è facile portare avanti alla luce dei tempi che cambiano. Idem per la collaborazione con i preti locali; aumentano man mano, sono una grande speranza ma anche una grande croce. Le famiglie e le donne sono un mondo impenetrabile, i giovani danno soddisfazione ma anche per loro la vita è dura e vedono il prete bianco come una realtà irraggiungibile, che non riuscirà mai a capire la propria. Io vorrei esattamente questo, vediamo se qualcosa di bello accadrà.
Non sto aiutando nessuno; non sto salvando nessuno dalla fame, dall’ignoranza, dalle gravidanze premature, dalla disoccupazione, dalla corruzione cronica; se non lo fanno loro, con il loro contributo, nessuno da fuori riuscirà. Non sono sicuro di evangelizzare, tento di seminare allegria, speranza, misericordia, ma a partire dal poco che posso vedere, con tanti dubbi. Fare, serve a poco; stare a fianco delle persone con lo sguardo di Cristo, può essere l’inizio della rivoluzione di cui questa gente ha sete.