Korogocho, 21 Dicembre 2012
Carissimi Amici,
Carissime Amiche,
Ci vuole proprio il Natale per farmi scrivere! Scusate davvero il lungo silenzio ma non e’ colpa mia se il buon Dio ha creato le giornate con solo 24 ore, e le settimane con solo 7 giorni!
Spero di trovarvi bene, felici, ottimisti, coraggiosi per l’oggi e per il domani. O no? Siete depressi? Siete preoccupati, sfiduciati, lacrimosi? Allora immaginate di poter sederci attorno ad un tavolo, davanti a un bel caffe’, mangiando una fetta di panettone, e di chiacchierare di quello che accade, e di quello che ci accade… di ascoltare nel profondo la realta’ che ci circonda, alla luce della Luce che viene e illumina e ci dona una comprensione diversa di tutto quello che vediamo.
Ascoltiamo l’evangelista Luca: “Nell’anno quindicesmo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa…”. Non ne ha lasciato fuori nemmeno uno: sono i potenti della terra, coloro che decidono le sorti delle genti, o almeno cosi’ credono loro. Nel testo c’e’ una suspanse, quasi a domandarci chissa’ cosa faranno, cosa decideranno, cosa ci daranno, come ci salveranno. E invece: “la Parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto”. Ma come? Giovanni, chi era costui? E Zaccaria? E nel deserto poi!, dove non c’e’ nessuno, non ci sono le folle, non si decidono le sorti, non ci sono bottoni strategici da premere. Che abisso tra il deserto di Giovanni e l’ammucchiata di Facebook!
Queste parole che abbiamo letto qualche domenica fa, durante l’avvento, mi hanno colpito molto e me le sono ritrovate dentro, mi hanno accompagnato per questi giorni e queste settimane. Si’ perche’ mi pare che oggi noi cristiani (parlo di quelli che credono ancora alla venuta di Gesu’ Cristo, e non a babbo Natale e alle sue renne), stiamo comportandoci esattamente all’opposto. I nostri occhi sono continuamente fissati sui potenti della terra, di qualunque colore, estrazione sociale, partito politico: sono loro che devono migliorare, sono loro che devono cambiare il mondo, sono loro che devono salvarci da questa crisi assassina. E allora ecco le file tristissime a baciar la mano e ad inchinarci davanti al “salvatore” di turno, o a quello che speriamo tutti lo diventi. Crediamo ancora che la salvezza verra’ da li’, da loro. E li critichiamo, li applaudiamo, li osanniamo, li crocifiggiamo, ma per noi sono sempre loro i protagonisti, veri o mancati.
E invece Luca, il narratore della storia di Dio, semplicemente li ignora. Sa che esistono; sa che sono potenti; ma sa anche che la novita’ non verra’ da li’. Sposta il suo sguardo altrove, e invita a fare altrettanto a noi che lo leggiamo. L’Avvento e il Natale sono proprio la storia raccontata da un’altra prospettiva, con altri occhi, impossibile da capire a chi sta in alto, ai potenti (pensate a Erode e alla sua paura alla notizia della nascita di un nuovo Re!); e’ la storia dei piccoli, anonimi, indifesi e impotenti: Giovanni, Zaccaria, Elisabetta, Giuseppe, Maria, i pastori…noi. Luca ci dice semplicemente, senza troppa enfasi, ne’ particolari proclami, che la salvezza viene da li’ e attraverso di loro. Non attraverso le loro gesta, ne’ il loro eroismo, ma semplicemente attraverso la loro fedelta’, la loro disponibilita’ quotidiana (!!!… non una volta all’anno!), la loro semplicita’ che rimane semplice anche dopo essere stati scelti, per mistero divino, da Dio stesso per partecipare attivamente al Suo piano (Suo!!!!). Maria rimane l’adolescente un po’ folle che era; Giuseppe rimane falegname, ma con qualche problema e preoccupazione in piu’; i pastori se ne tornano alle loro pecore e al loro rubacchiare per sopravvivere; quelli che in un modo o nell’altro hanno assistito alla Notte Santa, se ne tornano alle loro occupazioni, e di quella notte non se ne parlera’ piu’, fino a quando, trent’anni dopo (!!) Gesu’ riapparira’ sulle strade della Galilea, conosciuto come il figlio del falegname di Nazaret, e non riconosciuto (e come potevano?) come il Figlio di Dio.
Oggi non ci ostiniamo a fare l’opposto: rifiutiamo i piccoli, gli anonimi (cioe’: noi stessi), e poniamo la nostra speranza nei vari Obama, Monti, Berlusconi, Odinga, Kenyatta, eletti a sufragio universale salvatori della terra. Il 90% delle nostre discussioni e’ occupato a parlare di loro, contro di loro o a loro favore; sono loro che accalappiano la nostra attenzione, sono loro che prosciugano le nostre forze e la nostra creativita’. Gli abbiamo da tempo venduto la nostra scintilla divina, sperando che poi loro ci portino il fuoco del cambiamento, che – tristemente – per la stragrande maggioranza di noi non significa altro che un lavoro sicuro, qualche soldo da spendere, la sicurezza. “Solo” questo…
Dio invece e’ Dio, e cambia radicalmente strada. Non nasce come Dio, ma come un bambino (e chi se lo poteva aspettare?). E neppure da grande fa la voce forte, ma rimane mite e umile di cuore; non da’ l’assalto alle strutture di peccato, ma perde tempo a parlare con peccatori e prostitute e ammalati e abbandonati e infelici. E – inaudito! – ha la pretesa di dirci che proprio li’, in quello che fa e in come lo fa, sta la nostra salvezza, e quella del mondo intero.
Forse, sto pensando in questi giorni, gli slogan globali e globalizzanti di cambiare il mondo ci hanno distratto dal punto centrale della nostra vita, e di quella di Gesu’ di Nazaret: l’altro, cosi’ com’e’, proprio quello di fronte a me, concreto e visibile. Pensiamo sempre a come comprare pane per duecento denari per sfamare “tutti” (!!!…da cui la logica auto-giustificazione che fare questo e’ impossibile. Ovvio che lo e’, e infatti Dio non e’ questo che ci chiede), mentre a Gesu’ e al piccolo ragazzino incosciente e naive bastano pochi pani e pochi pesci. E chi non ha due pesci da offrire? Cerchiamo di capire una volta tanto che Gesu’ non ci chiede di fare l’impossibile (cambiare il mondo, o anche cambiare noi stessi), ma semplicemente tutto il nostro possibile. Quello che qui e ora, di fronte all’appello del mio vicino bisognoso di amore e di pane, riesco e decido di fare, e’ gia’ la salvezza dell’altro, del mondo, e mia.
Ve lo rispiego con un esempio di vita. La settimana scorsa ho celebrato tre messe di ringraziamento per e con altrettanti giovani di Korogocho e dintorni che si sono laureati. A dir la verita’ i giovani korogochesi laureatisi nell’ultimo mese e mezzo sono sei, un bel segno di speranza e orgoglio. La storia di uno di loro, John, e’ emblematica. Perse il papa’ quando era in quinta elementare e sua madre rimase letteralmente senza nulla; non aveva speranze di continuare la scuola, soprattutto quella superiore, ma la sua testardaggine, la fede di sua mamma e il buon cuore di un prete qualunque, hanno reso possibile questi studi. Finita la scuola elementare, John aspetto’ un anno a casa prima di ricevere uno sponsor dal parroco di una parrocchia vicina a Kariobangi, cosi’, semplicemente perche’ quel parroco ha creduto in John, e ha visto la sua quotidiana perseveranza. Mai quel parroco poteva immaginarsi che un giorno John avrebbe finito non solo la scuola superiore, ma anche l’universita’, cosa che in Kenya e’ ancora vista come privilegio per pochi e frutto di sacrifici enormi. Ecco la salvezza che passa attraverso la quotidianita’ delle relazioni, la risposta concreta a bisogni concreti, senza proclami e annunci, senza interventi populisti dei grandi della terra. Questo e’ Natale.
A parte questa bella notizia sulla Korogocho che si laurea, ce ne sono tante altre. Brevemente:
1) Abbiamo iniziato l’ampliamento della biblioteca che dovrebbe essere pronto per fine febbraio, e la costruzione di sei classi per la scuola di St. John (pronta per marzo). E’ frutto di generosita’ enorme di tante amiche e amici che con creativita’ e dedizione stanno rendendo possibile questo nostro sogno. Noi ci mettiamo le braccia dei muratori (uomini e donne), felici di trovare qualche giornata di lavoro (lavorano a turno, su rotazione di qualche giorno o qualche settimana). Intanto dall’altra parte del campo di St. John, sta sorgendo la nuova palazzina che sara’ nuova palestra (pianoterra) e aule multiuso (primo piano), grazie all’impegno di due scuole secondarie inglesi (soldi raccolti da gente semplice, ragazzi e ragazze…). Sono tutti impegni grossi, ma che ci danno speranza e fiducia, e stimolano la nostra gente alla riflessione: qual e’ il nostro contributo?
2) Con la comunita’ cristiana di St. John abbiamo iniziato un cammino di formazione e sensibilizzazione perche’ diventi sempre piu’ protagonista del proprio sviluppo, senza dipendere troppo da donazioni esterne. Abbiamo notato come la nostra gente si sia abituata troppo alla presenza dei missionari che – purtroppo – fanno tutto o quasi tutto, e soprattutto hanno contatti con l’estero (il mondo che “conta”, agli occhi delle gente di Korogocho). Cambiare questa mentalita’ e’ molto piu’ difficile che costruire la biblioteca di Alessandria o chissa’ cos’altro, ma ce la stiamo mettendo tutta. Intanto quest’anno, piano piano, la gente ha raccolto per la Chiesa (locale e diocesana) qualcosa come 110,000 scellini, cioe’ 1,100 euro, cosa mai vista prima a St. John, molto lontano dall’obiettivo fissato per il 2012, ma anche molto lontano dal “nulla” degli anni precedenti. Camminando s’apre cammino.
3) Il programma governativo di upgrading dello slum di Korogocho va avanti e ha avuto nelgli ultimi due mesi una smossa decisiva. Siamo arrivati alla distribuzione della terra, cosa delicatissima, soprattutto in campagna elettorale. In breve: il piano regolatore dell’area di Korogocho, preparato da consulenti delle Nazione Unite, visto e rivisto dal Comitato dei Residenti, e’ stato approvato in principio dal Comune di Nairobi e adesso giace al Ministero della Terra per il si’ definitivo. Ogni proprietario di baracca residente a Korogocho (quindi non quelli che posseggono baracche ma abitano fuori Korogocho) e gli affittuari che risiedono a Korogocho da piu’ di dieci anni, riceveranno, dietro pagamento di 30,000 scellini, un piccolo pezzetto di terra, con tanto di titolo di proprieta’. Chi non riuscira’ ad avere la terra a Korogocho (non c’e’ posto per tutti), dovrebbe ricevere un pezzo di terra alternativa, indicata dal governo e pagata con una quota dei 30,000 scellini di cui sopra. Cercheremo di trovare meccanismi che permettano di aiutare quelli che hanno diritto alla terra ma non hanno i soldi sufficienti. Una volta le gente sara’ proprietaria non solo della struttura, ma anche della terra, potra’ farne quello che crede (la proposta della proprieta’ comunitaria della terra era stata rigettata fin dall’inizio). Ovviamente si prevede che, una volta sistemata la questione della proprieta’ della terra e dislocata la discarica di Dandora (quando?), ci sara’ un assalto ad investire in quest’area strategica di Nairobi, quindi il costo della terra aumentera’ notevolmente e velocemente: chi compra a 30,000 scellini, potrebbe rivendere subito dopo a 500,000 scellini, o anche piu’. Il rischi di questa operazione, che davvero potrebbe cambiare il volto di Korogocho nei prossimi 5-10 anni, e’ evidente: la gente potrebbe essere allettata dal guadagno facile della rivendita della sua terra e spostarsi poi qualche decina di chilometri fuori dalla citta’ in espansione, dove ricostruira’ un’altra Korogocho a basso prezzo. Vedremo come andra’ a finire. La gente non ha molta fiducia in coloro che guidano questo processo, ne’ nei suoi leaders, ma ha fiducia nei Padri Comboniani, tant’e’ che hanno voluto p. John firmatario del conto bacario su cui verranno depositati i soldi per l’acquisto della terra.
4) I centri di riabilitazione proseguono il loro lavoro, tra successi e cadute. In questo momento a Kibiko ci sono pochi ragazzi perche’ siamo in fase di reinserimento nelle famiglie, aspettando i nuovi che arriveranno a gennaio. E ci sono sei donne ex-alcoliste che termineranno la loro riabilitazione il 13 gennaio. Poi, almeno per quanto riguarda il programma per gli alcolisti, ci daremo un piccola pausa di riflessione per vedere come organizzare il futuro. Di idee ce ne sono tante, bisogna trovare le persone giuste e i fondi per realizzarle. Intanto per il campo agricolo di Kibiko ci e’ stato approvato un piccolo progetto per l’irrigazione a goccia e la costruzione di un biogas collegato tra la stalla e la cucina: anche noi cerchiamo di diventare un po’ piu’ efficienti ed ecologici, limitando l’uso della legna.
5) 34 alunni della scuola di St. John hanno fatto l’esame finale della scuola elementare, con altre 5 scuole di Korogocho, iscrittesi nella sede della nostra scuola, mentre una decina di nostri giovani hanno terminato la scuola secondaria. I risultati saranno resi noti solo a febbraio e a marzo, rispettivamente, ma siamo fiduciosi in una buona prestazione. Dicembre e’ il mese di vacanza sia di alunni che maestri, si riaprira’ il 7 gennaio. E’ anche il mese della manutenzione, con l’imbiancatura dei bagni dei ragazzi e della cucina, la pittura, con vari colori, dei banchi e delle panchine della scuola materna, la sistemazione del drenaggio dell’acqua di fronte ai servizi dei ragazzi.
Di cose da raccontare ce ne sarebbero ancora, ma mi fermo per ora, altrimenti questa lettera la iniziate a Natale e la finita a Capodanno! Vi ricordo soltanto che il 4 marzo ci saranno le elezini presidenziali, parlamentari e locali per il rinnovo di tutto il Paese e l’attuazione finale della nuova Costituzione. Il momento e’ delicatissimo e tutti hanno negli occhi le immagini di quanto accadde quattro anni fa: Dio non voglia che tutto questo si ripeti, e le Chiese e la societa’ civile e’ impegnatissima in attivita’ di educazione civica e coscientizzazione della gente all’unita’ nazionale e alla responsabilita’ pubblica.
Nel farvi i migliori auguri per un santissimo Natale e un Anno di Grazia, vi ringrazio a nome di tutti per la vostra preghiera, la vostra vicinanza e la vostra solidarieta’. Continuiamo anche nel 2013 a camminare insieme, nella quotidianita’ delle nostre relazioni. La salvezza nostra e del mondo passa di qua.
Un abbraccione natalizio,