22 dicembre 2008, Fortaleza – Brasile Natale a Fortaleza: nel caldo e nel gelo delle carceri

Carissimi.

Temperatura oltre i 30 gradi. Nel nordest brasiliano siamo in estate, anche se fiocchi falsi di neve cadono dalle volte di vetro degli shopping centers. Di vetrina in vetrina i presepi “made in Europa” altro non sono che  uno fra i tanti articoli in vendita nelle cattedrali del consumismo.  Luci colorate e alberi di Natale, ovunque. Anche nelle “favelas”. E se non ci fosse tutto questo, sarebbe ancora Natale?
Giovedì 18 dicembre
Ho anticipato il Natale tra le fredde e immense  muraglie del carcere femminile con quasi 300 donne. Tra queste, una dozzina di mamme che, nei mesi scorsi, han partorito i loro piccoli dietro le sbarre. Son venute tutte a messa con  i neonati. Mancava solo Maria Aparecida perchè due settimane prima aveva perso il suo primogenito. A mezzanotte, la carceriera era troppo lontana dalla cella per sentire le grida della partoriente. E poi, non c´era neanche un´ambulanza per raggiungere la maternità distante 30 km.
Mi è venuto spontaneo il verso per nulla liturgico ma altrettanto vero del poeta indiano Tagore: “Ogni volta che nasce un bambino è segno che Dio non si è ancora stancato dell’umanità”. E ci siamo chiesti: “Ma, quando la vita non ce la fa a nascere, di chi è la colpa?”.
Venerdí 19 dicembre
Ho celebrato il Natale con un centinaio di carcerati, su un totale di oltre ottocento. La paranoia della ideologia della massima sicurezza toglie, tra le altre cose,  la possibilità di celebrare con tutti i carcerati che ne sentono il bisogno e poter riflettere così sul paradosso del Natale in carcere. Sto scoprendo che dire Natale in carcere è  lo stesso che dire di un Dio che è nato in una stalla. Se è paradosso dire che Dio nasce in una stalla, paradosso pure è l’onestà di questi “delinquenti” a cui nulla rimane se non cercare e chiedere forza a Dio.
Sabato 20 dicembre
Altro momento celebrativo. Questa volta in una tra le  sette prigioni per minorenni. Dopo Natale andrò nelle altre, perchè non è detto che il Natale debba finire! Rimango colpito dalla montagna di pacchi regalo ammucchiati sull´altare. Su ogni pacco c’è un biglietto che ne specifica il contenuto. Ne ricordo alcuni: pazienza, perdono, tenerezza, determinazione, saggezza, bontà, autocontrollo, perseveranza, purezza, amabilità, equilibrio e tanti altri. Mentre ognuno degli adolescenti si sceglie il pacco, mi  affretto a cercare una Parola capace di chiarire che non si tratta di un gioco. Mi balza subito in mente la lettera di Paolo a Tito (2,11-14): ”Dio infatti ha manifestato per tutti gli uomini la sua grazia che salva. Questa grazia ci insegna a respingere ogni empietà e i nostri cattivi desideri, per vivere invece in questo mondo una vita piena di saggezza, di giustizia e di amore verso Dio… Egli è la nostra gioia e la nostra speranza. Egli ha dato se stesso per noi, per liberarci da ogni malvagità e renderci suo popolo puro e impegnato in buone opere”.
La vita è stata impietosa con loro e con molti lo sarà ancora. Sono convinto comunque che qualcosa è calato più in fondo delle altre volte e che ogni Natale è come un  seme che può aprirsi  a nuove possibilità di germoglio.
Sorpresa finale. A ciascuno dei presenti, genitori compresi, sono stati distribuiti piccoli semi di girasole. I miei li ho già piantati.

Domenica 21 dicembre
Avevo sospeso stamattina questa lettera e la finisco ora, di ritorno da un carcere a 120 km. Una novantina di uomini e una dozzina di donne in celle più o meno separate. Sorvolando le rubriche liturgiche ho scelto ancora una volta la lettera a Tito. Ho chiesto che qualcuno mi spiegasse il significato di empietà e equilibrio.
Sicuro di sè, Edimilson non esitò a definire l´empietà come “durezza del cuore”. Rimasi ancor più sorpreso con la definizione di equilibrio: “Una società senza disparità”.  Notabene: la fedina penale di Edimilson parla di rapina a mano armata e omicidio.

Vi assicuro che fa bene alla mia fede poter vivere il Natale in questo modo. Sentire da vicino la gioia e la speranza di chi non avrebbe alcun motivo per gioire e sperare. E mi convinco sempre più che la Speranza cristiana è attiva e impegnativa. Una Speranza che non viene dalle fredde analisi della realtà sociale o economica ma da tante piccole e grandi scelte di amore concreto e quotidiano in favore dei più deboli ed oppressi.  Una grande rete di gesti di amore.
Questa è la proposta di Gesù. Quando il vangelo ci dice “La Parola si è fatta carne”, è un invito a diventare sempre più umani, come Lui, un Dio che è diventato totalmente e profondamente umano.
Desidero un vero Natale per tutti voi e un Nuovo Anno con rinnovata Speranza. Colgo l’occasione per dirvi che vi sento molto coinvolti in questa mia missione e per ringraziarvi per tanta prova di amicizia e solidarietà.

 

 padre Marco PASSERINI