Karthum Sud Sudan
Intorno al Natale 2005 Juba, capitale della regione del Sud Sudan, registrava i primi timidi segni di cambiamento. A un anno dall’accordo di pace iniziava un guardingo sviluppo del mercato e degli hotel in tende e prefabbricati. Le auto in circolazione sulle strade dissestate portavano in gran parte la sigla UN, nera o azzurra in campo bianco, e cominciavano ad apparire le grosse fuoristrada governative, nuove fiammanti, pericolosamente guidate dai militari. Radio Liberty, un’emittente semi-illegale e la prima indipendente, tentava alcune ore di trasmissione.
A due anni di distanza gli alberghi, sempre costosissimi, si sono moltiplicati, così come le auto governative e quelle delle Nazioni Unite, a cui si sono aggiunti una miriade di veicoli recanti le più svariate sigle di ONG, agenzie umanitarie e per lo sviluppo. Sulle vie principali per un certo periodo apparivano settimanalmente nuove insegne di uffici che promettevano servizi a donne, bambini, all’agricoltura, alle scuole, agli ammalati di AIDS e quant’altro è possibile immaginare in termini di assistenza e di sviluppo. La proliferazione di ONG e agenzie è stata così rapida che nel 2007 il Governo ha preso provvedimenti per regolamentarle.
Il corso di computer a Yei
Come gruppo di missionarie e missionari comboniani impegnati nel progetto per l’apertura della Rete Radio Cattolica in Sudan, abbiamo ricercato in diversi modi l’interazione con agenzie interessate a promuovere lo sviluppo di un Paese che sta uscendo da 50 anni di devastante guerra civile. In alcuni casi la cooperazione ha dato esiti soddisfacenti per entrambe le parti, ma altre esperienze sono state decisamente negative.
Citerò come esempio peggiore la vicenda di un piccolo progetto presentato alla sede UNDP (il ramo delle Nazioni Unite che si occupa di sviluppo) a Yei, cittadina dell’estremo Sud Sudan. Insieme al sacerdote sudanese incaricato di coordinare l’apertura della stazione radio della sua diocesi preparammo la documentazione necessaria a richiedere assistenza finanziaria per un corso di computer per quattro giovani; includemmo pure la spesa di un portatile e altri accessori per un totale di 2.100 dollari. L’incartamento venne presentato il 28 agosto 2006 al responsabile della base UNDP, non senza avere in precedenza concluso l’accordo verbalmente.
Fummo informati che, trattandosi di un piccolo progetto, avremmo avuto una risposta sull’esito già un mese dopo. Ciò non avvenne, e dopo una serie di inutili visite alla sede di Yei, finalmente ci fu detto che la richiesta era stata considerata positivamente. Fummo però consigliati di seguire le pratiche al quartier generale della UNDP a Juba, ciò che io iniziai a fare personalmente dal momento che risiedevo in quella città. Alla fine del 2006 l’amministratore confermò che i 2.100 dollari per il corso di computer erano stati approvati, e ad evidenza di ciò mi mostrò la documentazione bancaria. Aggiunse che, data la complessità delle procedure burocratiche del sistema delle Nazioni Unite, ci sarebbe voluto ancora tempo perché il trasferimento del contante fosse effettuato.
In rispetto delle complesse procedure, attendemmo ancora, non senza pensare ai giovani che avrebbero dovuto iniziare il corso come parte propedeutica alla loro preparazione per lavorare alla stazione radio. Nel maggio 2007 un membro di nazionalità sudanese del personale UNDP di Yei mi informò che il contante era finalmente arrivato. Con il coordinatore diocesano ci recammo per l’ennesima volta agli uffici interessati: l’incaricato dei progetti non era in sede, ma sarebbe rientrato a giorni. Quando il padre ritornò si sentì narrare “una storia diversa”, come egli stesso commentò.
A quel punto il dispendio di tempo, energie e carburante ci sembrò sproporzionato all’entità del progetto, ma, per una questione di giustizia, presentai un esposto all’amministrazione centrale della UNDP di Juba. Fu in uno di quegli uffici che una persona concluse che ‘qualcuno si era intascato i soldi’. Ci fu la promessa di un’indagine, di cui comunque non sentimmo più nulla. Avevo ormai lasciato perdere l’idea di bussare a porte che non si aprivano neppure per una questione di giustizia, quando nel settembre 2007 mi venne segnalata la presenza alla UNDP di un consulente norvegese che sarebbe stato pronto ad ascoltare ciò che era accaduto. La persona mostrò molto interesse per l’intera vicenda che, come confermò in un messaggio per posta elettronica, sarebbe stata trattata come top priority, di massima priorità.
Non ci sono risposte
A tutt’oggi non c’è stata alcuna comunicazione dalla sede centrale della UNDP e ironicamente il dipartimento interessato si chiama ‘Governo della legalità’. Durante tutto questo anno ci sono stati lavori in corso per ampliare il complesso e aumentarne la sicurezza, con illuminazione notturna, filo spinato e un alto cancello metallico che separa completamente l’esterno dall’interno, che non è più visibile. La mia attenzione è stata attratta dal cancello, e pensavo come una sola delle porte sarà costata più dei 2.000 dollari sufficienti ai quattro giovani di Yei per il loro corso.
Quest’esperienza, a parte l’illegalità della scomparsa della somma destinata a un progetto, ha confermato quanto già visto negli ultimi anni in Sud Sudan. Non appena hanno iniziato a spirare venti di pace sono entrati sul territorio una miriade di gruppi e agenzie dichiaratamente per missioni umanitarie. La loro presenza fa una differenza rispetto all’isolamento e desolazione precedenti, ma ciò che arriva alla base, alla popolazione, sono le briciole. Non ho la documentazione per offrire statistiche, ma è disponibile letteratura sull’argomento. Non credo di essere lontana dal vero stimando che il 90% e più delle risorse di grandi istituzioni come la UNDP venga impiegato per il mantenimento delle strutture, logistica e personale. Ricordo che quando il primo contingente ONU della forza di pace venne sui Monti Nuba, ancora durante la guerra, gli edifici da loro abitati e il loro stile di vita erano in stridente contrasto rispetto alla grande povertà circostante, ma allora commentavo: ‘purché aiutino la pace…’
Per il progetto Rete Radio Cattolica non è mancato qualche contributo da agenzie ONU, soprattutto sponsorizzazione di viaggi aerei, ma si è trattato di un aiuto che non è costato quasi nulla all’istituzione. Quando anche le briciole vengono sottratte e non c’è un impegno per ovviare all’inconveniente, allora l’ingiustizia diventa meno tollerabile ma, provvidenzialmente per i giovani di Yei, è stato possibile ricorrere ad altre risorse perché potessero frequentare il corso di computer.
Sr. Elena Balatti