Lo scorso 19 maggio è scomparsa Rosanna Cairoli la “storica” segretaria del Centro missionario diocesano. Pubblichiamo il ricordo del direttore, mons. Alberto Pini, pubblicato su Il Settimanale della Diocesi di Como.
Si può essere pienamente missionari anche restando seduti alla scrivania di un ufficio. Basta mettere il proprio tempo e le proprie competenze al servizio di chi vive in prima linea la missione ad gentes, condividendone lo sguardo e la passione. È il caso di Rosanna Cairoli, “storica” segretaria del Centro missionario diocesano, scomparsa il 19 maggio scorso all’età di 77 anni. I funerali si sono celebrati il 21 maggio al Santuario di Maccio, nella sua Villa Guardia. A Maccio Rosanna era di casa: qui suo papà fu sacrestano, e qui lei, da giovane, suonava l’harmonium per animare le celebrazioni. In questa chiesa-santuario ha preso forma la sua fede operosa, fatta di piccoli gesti e grande dedizione.
«Rosanna, nei non pochi anni “regalati” alla nostra Diocesi in un servizio umile e puntuale al Centro missionario, è stata espressione della volontà della nostra Chiesa locale di provvedere con cura e sollecitudine a quanto serviva ai nostri missionari fidei donum per il loro viaggio e, soprattutto, per adempiere al mandato missionario ricevuto. Un’attenzione di cui lei è sempre stata un punto di riferimento sicuro – agendo su mandato dei direttori e di altri collaboratori del Centro missionario – non solo per i nostri fidei donum, ma anche per tanti altri missionari nativi della nostra diocesi o presentati da qualche presbitero o istituto missionario», ha ricordato nell’omelia mons. Alberto Pini, direttore del Centro missionario, che ha presieduto la celebrazione concelebrata dal parroco don Luigi Zuffellato e da numerosi sacerdoti e missionari.
Tra loro anche don Roberto Seregni, fidei donum in Perù, in questi giorni in Italia. Il servizio di Rosanna è stato silenzioso, fedele, preciso e tenace. Ha continuato a svolgerlo anche quando le forze hanno cominciato a venir meno.
Durante la celebrazione erano presenti, oltre ai familiari e ai parrocchiani, anche molti rappresentanti della Curia diocesana: un segno concreto del legame profondo che Rosanna ha coltivato con discrezione e affetto.
«Non era mossa dal desiderio di apparire – ha sottolineato don Alberto – ma da una sana passione per le missioni». Era lei, spesso, a custodire i contatti, a raccontare le storie, a offrire aggiornamenti puntuali su ciascun missionario: «Qualcuno, giustamente, guardava a lei come alla memoria “storica” del nostro Centro missionario».
Ripercorrendo la sua storia, il direttore ha ricordato la partecipazione al Convegno missionario nazionale di Bellaria nel 1998, dove Rosanna si recò con don Luigi Savoldelli, «il primo dei suoi “capi”, come ci definiva». Un cammino lungo, attraversato anche da inevitabili fatiche, incomprensioni, momenti di prova: «Ma il desiderio di rimanere per servire con dedizione – ha detto – ha sempre avuto la meglio». Anche durante la malattia, affrontata con forza e determinazione, Rosanna ha continuato a “restare”, finché le è stato possibile. Chi scrive la ricorda mentre instancabile preparava i pacchi con i sussidi per la Quaresima di quest’anno nonostante la malattia fosse già ricomparsa più aggressiva che mai.
A sostenerla, con affetto, i familiari e tanti amici del Centro missionario e della Curia. Negli ultimi giorni, ha cominciato a lasciarsi andare, pronta per l’abbraccio che l’attendeva, «con il cuore nella pace».
Durante la celebrazione è stata letta anche una lettera del vescovo Oscar Cantoni, che l’ha ricordata così: «Pensando ai racconti del Vangelo, credo vi sia nella vita di alcune donne la capacità di unire l’ascolto attento di Maria per la parola di Gesù e, al contempo, l’operosità di Marta che si preoccupa di accogliere e servire. Così è stato per Rosanna: la sua fede l’abbiamo riconosciuta nelle opere, nel lavoro silenzioso e spesso nascosto, ma indispensabile affinché il bene potesse diffondersi. È la logica del Vangelo, del piccolo seme, del lievito nella pasta, delle preghiere semplici e della generosità autentica». Chi l’ha conosciuta ricorda anche la sua capacità di stupirsi per le piccole cose: «Singolare era la sua capacità di lasciarsi incantare non solo dalle cose grandi, ma anche da quelle più semplici – ha detto ancora don Alberto – come un minuscolo fiore, che tanto amava, o osservando pazientemente gli uccellini del bosco vicino a casa, che fotografava con cura e meraviglia».
E poi la sua tenacia: «Non era certo una persona che si arrendeva alla prima difficoltà – lo abbiamo visto anche nel modo in cui ha affrontato la malattia – ed era molto determinata nel portare avanti ciò che riteneva necessario, per sé o per gli altri». «Soltanto pochi giorni prima di morire, nell’hospice di Erba – ha concluso don Alberto – ha lasciato intuire a chi la assisteva o la andava a trovare che si era arresa, che aveva “gettato la spugna”. Era pronta per l’abbraccio che l’attendeva, con un cuore nella pace».