La mia missione in Etiopia
Don Mario Robustellini, nato a Grosio (Sondrio) in Valtellina nel 1951 è Salesiano dal 1968, ordinato sacerdote nel 1978. Ha chiesto di far parte del Progetto Africa ed è partito per il Kenya nel Novembre 1981, lavorando in varie Missioni sino al 1993, quando è arrivato in Etiopia, dove si trova ormai da 27 anni. Ha un’aria giovanile, di salesiano soddisfatto, sempre sorridente e cordiale.
Come ti è venuta la vocazione salesiana?
Provengo da una famiglia numerosa (siamo 8 viventi tra fratelli e sorelle) molto praticante. I miei genitori mi hanno lasciato partire volentieri come aspirante per fare i miei studi medi e ginnasiali a Penango, Bagnolo e Ivrea, casa dove ho fatto la mia domanda per entrare in Noviziato a 16 anni. Ho ottenuto sempre il consenso dei miei genitori nelle varie tappe della mia vita salesiana. Essi hanno partecipato ai momenti salienti della mia professione religiosa fino al momento dell’ordinazione sacerdotale il 30 settembre 1978 a Tirano (Sondrio), giorno in cui ho manifestato pubblicamente la mia intenzione di partire per le missioni. L’esempio dei Salesiani che mi hanno seguito negli anni della formazione è stato determinante, come pure l’incontro con missionari salesiani che ci parlavano del loro lavoro in terre lontane. Durante lo studio della Teologia nell’ambiente internazionale di Torino, Crocetta, ho avuto compagni missionari alcuni dei quali diventati anche Vescovi come don Luciano Capelli e don Francesco Panfilo, che mi hanno spronato alla decisione di partire per le Missioni.
Come l’ha presa la tua famiglia?
La mia famiglia ha sempre vissuto l’ideale salesiano. Entrambi i miei genitori erano cooperatori e la mamma era molto legata alle FMA, essendo stata con loro nell’immediato dopoguerra. Avere un figlio o una figlia donati a don Bosco è sempre stato un “orgoglio” della famiglia. I miei fratelli e sorelle hanno condiviso questo impegno generoso per le missioni che dura da circa 40 anni, facendomi visita in Kenya e in Etiopia e portando nella Missione di Embu, nel 1987 anche i genitori stessi. Tutti in famiglia sono stati a me vicini nei vari momenti della vita missionaria, con l’impegno concreto di aiutarmi in vari modi, anche economicamente. La nostra casa in tutti questi anni è stata aperta a salesiani, missionari e volontari che vi sono passati e sempre benvenuti!
Com’è stato il tuo impatto con l’Africa?
Ero un giovane prete di 30 anni. Al mio arrivo in Kenya, in una missione davvero povera, in una parte piuttosto depressa del Paese (Mbeere), in una parrocchia già iniziata dai Padri della Consolata con circa 9500 cattolici e 13 cappelle, mi sono sentito coinvolto in questo processo di evangelizzazione in piena espansione. Infatti in 5 anni siamo arrivati a 15 000 cattolici. Il primo impatto è stato imparare la lingua Kikuyu e un poco di Kiswahili, poi si è trattato di entrare in una nuova cultura e in un ambiente missionario, dove il cristianesimo era agli inizi, con problemi di stregoneria, di poligamia, di vita semi-nomade e di pratiche tradizionali radicate in costumi atavici, come la circoncisione, il culto degli spiriti, gli alberi sacri ecc. Abbiamo fatto riferimento alle famiglie cristiane della Missione, giovani coppie con figli, ma ancora legate a parenti e anziani di religione animista, con famiglia allargate a motivo della poligamia. Abbiamo dovuto far i conti anche con l’influsso dei protestanti che avevano una diversa presentazione del cristianesimo. Un grande aiuto ci è venuto dal clero locale, dai laici e dai catechisti della Parrocchia, alcuni dei quali abbiamo contribuito a formare con corsi appropriati. In quegli anni ’80 in Kenya, la gente molto povera dipendeva molto per aiuti dai missionari bianchi e abbiamo dovuto gradualmente cambiare questo approccio interessato in un altro di maggior partecipazione, indirizzandolo all’educazione dei giovani.
Qual è il tuo compito attuale?
Sono economo Ispettoriale da 6 anni nella vice-provincia dell’Etiopia che ha 15 opere, circa 100 salesiani, in un paese grande 5 volte l’Italia, con una popolazione di 108 milioni di abitanti, la metà sotto i 20 anni e distanze enormi da una missione all’altra. Sono stato in varie missioni dove ho coperto altri compiti come direttore, parroco e amministratore di opere importanti sia all’interno del Paese sia ad Addis Abeba e Makallé, città importanti d’Etiopia. Nei miei interessi missionari ho sempre dato un posto privilegiato alla pastorale e alla prima evangelizzazione, all’educazione dei giovani nelle varie scuole e all’aiuto dei più bisognosi nelle varie opere sociali delle missioni.
Come vedi il futuro dei Salesiani in Etiopia?
I salesiani in Africa (dopo il lancio del progetto Africa, sono passati 45 anni) sono adesso circa 2500, in diverse ispettorie e delegazioni. Molto del personale anche direttivo è africano. Il futuro è un crescendo continuo per la congregazione. In Etiopia, Makallè, è stata una delle prime Missioni del progetto Africa, nel 1975 con missionari davvero pionieri e di valore come brother Cesare Bullo e brother Joe Reza con don Patrick Morrin e don Edgardu Espiritu, che hanno iniziato con una scuola tecnica e la cura delle vocazioni nel Tigray, con l’appoggio dell’Ispettoria del Medio Oriente. Un crescendo è venuto con l’adesione dell’Ispettoria Lombardo Emiliana al Sud dell’Etiopia (Dilla e Zway) cominciando dal 1982 con 13 confratelli missionari e con un buon lavoro anche per le vocazioni locali. Nel 1998 vi è stata l’unione delle due realtà e si è creata la Visitatoria AET che comprendeva Etiopia e Eritrea che è stata affidata alla guida di un missionario-ispettore di valore, ancora adesso sul campo, don Alfredo Roca, spagnolo. Nel 2000, quando avevamo già 104 confratelli si è accettata la missione di Gambella e in seguito ci è stata assegnata la guida del Vicariato apostolico e inoltre abbiamo iniziato un’opera per i ragazzi di strada ad Addis Abeba. Momenti non facili sono stati la divisione dell’Eritrea dall’Etiopia e la crescita lenta del personale salesiano, pur proseguendo con un grande lavoro apostolico nelle 15 opere tutte molto significative, dell’Etiopia.
Come sono i giovani che incontri?
I giovani dell’Africa (e parlo del Kenya e dell’Etiopia dove sono stato) sono molto aperti al mondo esterno. Soprattutto in campo educativo sono desiderosi di imparare e di avere un futuro migliore nella vita, con le cognizioni che apprendono e con le capacità tecniche che assimilano nelle nostre scuole. I ragazzi d’Africa sono più aperti e spontanei dei nostri, sono meno sofisticati dei giovani europei, meno condizionati da tanti fattori esterni come i social media, anche se questi ultimi arrivano anche in Africa. I nostri giovani salesiani sono desiderosi di apprendere lo spirito di don Bosco che vedono molto attuale per la gioventù etiopica in cerca di nuovi valori. I giovani cristiani delle nostre missioni si impegnano generosamente nella chiesa, sono attivi con la vitalità tipica degli africani e sono capaci di grandi sacrifici.
Come sono le comunità formate da confratelli di vari continenti?
Le nostre comunità sono di fatto formate da confratelli e volontari di varia provenienza. In maggioranza sono confratelli etiopi di diverse etnie e lingue. Poi ci sono i confratelli missionari molti dei quali anziani, che vengono dall’Italia, dalla Spagna, dalla Polonia, dall’India, dal Vietnam e dall’America Latina. Siamo comunità internazionali dove si parla inglese e amarico e sempre meno l’italiano. C’è un graduale adattamento alla cultura e al cibo locali e anche in chiesa facciamo parte del rito Cattolico orientale che è vicino alla liturgia Ortodossa. C’è buona volontà di lavorare insieme, salesiani e laici e facciamo spesso riunioni di programmazione e di confronto. La ricerca dei ragazzi più poveri, secondo lo stile di don Bosco, è il principio che ci guida in molte missioni. Si dà sempre più responsabilità ai giovani confratelli salesiani nei vari settori delle nostre missioni. Si è attenti alla cura delle vocazioni che vengono in gran parte dalle famiglie cattoliche ma anche dal mondo ortodosso, purché abbiano buone fondamenta cristiane. Le nostre comunità sono pienamente inserite nella Pastorale della Chiesa locale dove sono presenti e dove danno il loro apprezzato contributo specialmente nella pastorale giovanile.
Che cosa sogni?
Sogno la congregazione di don Bosco completamente etiopica ed eritrea, con molte vocazioni del posto. Sogno un futuro migliore per tanti giovani che studiano nelle nostre scuole accademiche e tecniche. Sogno una maggiore crescita, sia nella consistenza dei salesiani sia nei ragazzi e nei giovani che accogliamo nelle varie missioni.
Sogno una migliore sostenibilità delle opere che viene in gran parte da un forte senso di appartenenza dei confratelli e dal duro lavoro per trovare le risorse necessarie alle missioni, senza abbandonare i poveri come destinatari principali delle nostre opere. Sogno per me un ritorno al lavoro diretto in qualche missione d’Etiopia, dove c’è più bisogno e dove possa spendere i prossimi anni della mia vita missionaria.