2022 09 – la situazione in Mozambico

RAPPORTO SULLA SITUAZIONE IN MOZAMBICO: 

Il mese di settembre è stato funestato dall’allargamento del terrorismo islamico nella nostra provincia di Nampula. Prima in un villaggio isolato sono stati bruciati scuola e centro di salute, senza uccidere nessuno, poi l’attacco notturno alla missione cattolica di Chipene, dove stavano i due preti di Pordenone e tre suore comboniane. All’inizio dell’irruzione i terroristi hanno ucciso suor Maria De Coppi, per poi bruciare le strutture della missione. Questi fatti hanno scatenato la paura della popolazione e una fuga generalizzata di famiglie dai villaggi, verso sud (città di Nacala) e verso ovest (Alua e Namapa, dove siamo noi). Dopo cinque giorni di timore generalizzato (anche le suore di Namapa e di Alua avevano ricevuto l’ordine di tornare in città, una settimana fa sono rientrate) le cose sono un po’ migliorate, c’è piena libertà di movimento, l’esercito ha ucciso diversi terroristi, arrestato alcuni reclutatori e i gruppi armati sono tornati dall’altra parte del fiume Lurio. Si tratta di guerriglia terroristica su un territorio difficile da controllare, dunque è probabile che ritornino. Noi siamo in una cittadina medio – grande (15000 abitanti), c’è maggiore sicurezza. Anche per questo motivo e per la relativa vicinanza con i villaggi di origine (120 chilometri), abbiamo una notevole quantità di rifugiati.

Il parroco di Chipene, don Lorenzo di Pordenone, è rimasto in città di Nacala e da lì segue i profughi che si trovano in città e i cristiani rimasti nei villaggi. L’altro prete e le suore comboniane sono rientrati in patria, per riprendersi dal trauma di una notte passata sul filo del rasoio. L’intenzione è di non abbandonare la parrocchia, ma chiaramente tempi e metodi sono impossibili da stabilire ora. Il funerale di suor Maria e il pellegrinaggio diocesano dell’11 di settembre ad Alua sono stati un segnale incoraggiante, con commozione e partecipazione soprattutto dei preti e delle suore delle diocesi di Nampula e Nacala. In tutto questo, nella area di Mirrote che si trova più a ovest non ci sono stati fatti preoccupanti e la gente non è fuggita in massa: chiaramente anche lì gli abitanti sono preoccupati. Abbiamo mantenuto la consegna ufficiale della parrocchia per il 5 novembre, riservandoci di rimandare se necessario. Questa data non cambierebbe di molto lo schema di lavoro attuale: prima e dopo questa data, visitare le comunità nel fine settimana e per il resto del tempo vivere a Namapa.

Noi qui siamo tranquilli, pur con le antenne dritte a captare segnali di peggioramento, con prudenza ma con il desiderio di dimostrare la nostra vicinanza alle persone: anche il vescovo Alberto Vera di Nacala ci ha incoraggiato in questo senso, ricordandoci che se il popolo scappa è giusto lasciare, ma se la chiesa è la prima a darsela a gambe per la gente è un segnale che toglie ogni speranza. Fiducia nel governo, nelle autorità militari e locali, ce n’è poca. Noi cerchiamo di stare vicino alla gente, consapevoli dei nostri limiti e della precarietà della nostra situazione. Stiamo pensando, in particolare, di donare alle famiglie di rifugiati alcuni generi alimentari. Ho dettagliato il progetto in altra sede.

PROFUGHI A NAMAPA

In questi giorni di incertezza sta esplodendo la presenza di famiglie rifugiate nella nostra cittadina di Namapa. Con padre Benjamin stiamo organizzandoci per aiutare con cibo in maniera il più possibile efficace e il meno possibile improvvisata. Anche in passato la caritas ha collaborato con le strutture governative preposte, anche stavolta vorremmo fare così, assolutamente stando presenti sul posto per garantire che tutto sia fatto onestamente. il documento “profughi a Namapa” descrive tutto. Vorremmo definire le cose e acquistare già in questa settimana o la prossima

Sul distretto di Erati e su Namapa, la cittadina principale, in questi messi si è abbattuta un’ondata umana di notevoli proporzioni. Un’ondata di paura, anche, causata dai primi attacchi terroristici nella provincia di Nampula avvenuti nei villaggi di Kutuha e di Chipene. Le distruzioni delle strutture governative e cattoliche, accompagnate dalla razzia di alcune case e da uccisioni, hanno fatto scappare moltissime famiglie da questa area di circa 80 chilometri a ridosso del rio Lurio, alla ricerca di qualche brandello di stabilità. Alcuni sono andati a sud nella cittadina di Memba, altri a Nacala, altri sono fuggiti a ovest verso Alua o Namapa. Nel rapporto delle autorità locali si dice che a giugno 2022 risiedevano a Namapa 4000 rifugiati da Cabo delgado, nei successivi due mesi se ne sono aggiunti 12000 dopo gli attacchi ad Ancuabe (stessa area) e nelle ultime due settimane almeno 5000 persone dai villaggi della nostra provincia.

Dopo il panico della prima settimana, l’attuale situazione di incertezza ha generato soluzioni differenti, ognuno ha fatto come poteva; alcuni (soprattutto professori, medici e funzionari) sono in città a Nampula, altri sono rientrati a casa magari lasciando al sicuro moglie e figli, altri tornano a difendere casa e campagne dai furti per poi scappare di nuovo, diversi senza appoggio familiare hanno costruito a Namapa rifugi di fortuna o hanno occupato case vuote, la maggior parte si appoggiano a parenti che possono offrire loro ospitalità e poco altro. Questa preoccupazione generale e l’insicurezza hanno fatto riemergere un uso della guerra civile: le famiglie rimangono nei villaggi di giorno e passano la notte nelle campagne, magari a poca distanza, per non essere facile preda di attacchi armati. Soluzione utile a salvare la vita, critica a lungo termine per la salute e la serenità di vita.

La macchina umanitaria ancora fa fatica ad attivarsi, anche per l’assenza di alcuni funzionari che ancora non sono tornati sul posto; la situazione di estrema mobilità e incertezza, l’ospitalità familiare ancora non consentono un supporto strutturato e durevole. La parrocchia di Namapa, seguita dai padri comboniani, ha sempre voluto rispettare le indicazioni governative supportando i canali ufficiali, come è stato fatto nel 2020. Desideriamo dare a ognuna tra le famiglie più vulnerabili, indicate dall’autorità locale, degli aiuti alimentari, sapendo bene che comunque non saranno la soluzione a questo serio problema umanitario, ma un segno di presenza necessario per questo popolo che soffre.

Abbiamo calcolato che un kit di 25 chili di farina, una bottiglia di olio, sale, zucchero dovrebbe costare mille meticais (15 euro): stiamo cercando di capire la disponibilità di fondi da parte della famiglia comboniana e della diocesi. In base a quello decideremo quanto comprare e quante famiglie sostenere con una o due distribuzioni, sapendo lucidamente che sarà in ogni caso insufficiente rispetto alle nostre forze e al bisogno che vediamo.

don Filippo Macchi