Carissimi,
Non posso lasciar passare questi giorni di passione, morte e resurrezione senza farmi vivo e farvi gli auguri di buona resurrezione. Buona Pasqua!
Buona Pasqua?
Oggi camminando dietro la grande croce verde di Korogocho, sotto la pioggia che per la gente e’ chiaro segno di benedizione (e come non puo’ esserlo dopo quattro mesi di secco e polvere?), mi chiedevo davvero che senso ha augurarci buona Pasqua. Cosa vuol dire? Cos’e’ questa resurrezione che ci auguriamo, che consideriamo il fondamento della nostra fede, al punto che S. Paolo ci ricorda che se Cristo non e’ risorto siamo i piu’ infelici della terra?
In questi giorni mi porto nel cuore e nella testa Lilian, e i suoi quattro splendidi bambini: Cynthia, Gilbert, Ivonne e Nancy, quasi nostri vicini di casa. Lilian e’ morta ieri, giovedi’ santo, in ospedale dove era stata ricoverata una settimana prima. La sua vita si e’ spenta a poco a poco, dopo un breve agonia e una breve vita (36 anni) che considero assurda, almeno dal punto di vista puramente umano. Portata via da casa quando era giovanissima, cresciuta da quello che sarebbe poi stato suo marito, scappata da lui l’anno scorso quando i maltrattamenti erano diventati insopportabili… una vita di passione, come diceva spesso lei stessa, di sofferenza e di poverta’ totale. Negli ultimi mesi il marito si era riavvicinato: nella difficilissima vita di Korogocho e’ davvero quasi impossibile rimanere soli, soprattutto per una giovane donna come Lilian. In ospedale, a parte noi cristiani di St. John, non aveva nessuno, e niente, nemmeno una coperta con cui coprirsi durante le freddi notte di Nairobi (i vetri alle finestre dello stanzone del reparto sono rotti e non c’e’ modo di difendersi dal freddo…). Il puro nulla, la poverta’ piu’ totale. Quando veniva a trovarmi (insieme alla piccola comunita’ cristiana e al progetto per la salute di suor Manna cercavamo di aiutarla in qualche modo), il suo pallino erano i suoi bambini: “Father – mi diceva – io so che moriro’ presto. E i miei bambini? Prendili tu, abbine cura”. La dottoressa che la seguiva in ospedale mi ha detto che mercoledi’ sera, dopo che noi eravamo andati via, Lilian ha avuto un risveglio improvviso; nella sua fragile lucidita’ di quel momento la prima e unica frase che e’ riuscita a dire e’ stata una domanda: dove sono i miei bambini? Adesso Cynthia (8 anni), Gilbert (7), Ivonne (5) e Nancy (4) sono con il papa’, un uomo complicato e poco affidabile. Cynthia capisce gia’ tutto, deve tirare avanti la casa (nel senso letterale del termine perche’ fa la spesa con i pochi soldi che riesco a darle, fa da mangiare e accudisce alle sorelline: si diventa grandi in fretta, a Korogocho), e questa sera si e’ lasciata andare in un pianto a dirotto: le manca la mamma e ha un po’ paura del papa’.
Cosa significa “Buona Pasqua” per Cynthia? Cosa significa augararle e augurarci la resurrezione? Al posto di Cynthia, voi metteteci le situazioni che state vivendo, il dolore non conosce frontiere, ne’ ha un unico nome.
Nella preparazione della liturgia di domenica, la gente raccontava di un giovane ucciso l’altro ieri mentre andava al lavoro, un altro accoltellato mentre tornava… Continuiamo a pregare per la sicurezza delle nostre strade, ma sembra non succedere niente. Cosa significa annunciare che la vita ha vinto la morte in mezzo a tanta violenza gratuita?
Consolata, un’altra vicina di casa, e’ passata da casa mia prima che andassi all’incontro della liturgia, ed era nuovamente ubriaca. “In vino veritas”, si dice, e ha iniziato a raccontare, o meglio a gridare, la sua frustrazione di una vita che ha poco senso: la gente che l’accusa; Mary, sua figlia, crescendo e conoscendola sempre meglio, inzia a ignorarla perche’ anche il suo livello di sopportazione e’ al limite. Che resurrezione si prospetta per Consolata?
E se alziamo lo sguardo al mondo intero… Il Sud Sudan e’ di nuovo sull’orlo di una guerra totale con il Sudan; l’Eritrea e’ sempre piu’ un campo di concentramento dove i suoi cittadini sono rinchiusi fino all’eta’ di 55 anni; la Somalia e’ come un buco nero; la violenza domestica sulle donne non accenna a diminuire e senz’altro continua a rimanere la grande sconosciuta delle notizie di cronaca…
Buona Pasqua! Buona Pasqua?
Tra gli auguri che ho ricevuto in questi giorni (Grazie!) trovo queste parole: “Ai credenti e’ proibito essere pessimisti”. E’ vero, e io mi ritengo un inguaribile ottimista. Ma la buona Pasqua che ci auguriamo non e’ e non puo’ essere un colpo di spugna sulle sofferenze dell’umanita’, o anche solo del nostro vicino di casa. Non e’ il facile ottimismo di chi vuol darci a bere che tra qualche mese la crisi rientrera’ (grazie ai sacrifici immensi di chi ha gia’ alle spalle una vita di sacrifici) e tutto, finalmente!, tornera’ come prima. Non e’ la realizzazione del sogno della Chiesa di veder nascere, finalmente!, una societa’ perfetta, radicalmente cristiana, uniforme e monolitica. Non e’ il respiro di sollievo di chi torna a casa stanco dopo una giornata o una vita di fatiche e, finalmente!, si toglie le scarpe e si stende davanti a una bella birra e all’ennesimo litigio nella casa del Grande Fratello e sull’Isola dei Famosi.
Abbiamo mai pensato che le parole del Risorto, quelle fondamentali che dice ai suoi discepoli ancora stralunati nel vederlo vivo (vorrei vedere me al loro posto…), sono due: “Pace a voi!”, e “Tornate indietro in Galilea (dove tutto era cominciato)”?
“Pace”, perche’ senza quella nel cuore non si va da nessuna parte. “Tornate indietro”, proprio per farci capire che l’obbiettivo non e’ tanto davanti a noi, in una fuga in avanti, quasi a scansare tutti i problemi che ci assillano quotidianamente, ma indietro, esattamente nel posto che ho, che hai lasciato il venerdi’ santo. L’obbiettivo e’ la vita, quella vera, complessa e complicata, piena di trappole e incomprensioni; il lungo viaggio della vita di ognuno di noi, che alcuni vorrebbero non finisse mai, altri vorrebbero invece accorciarlo il piu’ possibile. “Tornate indietro” perche’ davvero si tratta della Vita reale con relazioni vere, e non della risurrezione a una vita artificiale con amicizie da Facebook. Capisco allora che a me la risurrezione non basta, davvero non mi dice niente se non e’ ben visibile, o almeno un po’, nella vita di tutti, e di tutti i giorni.
Credo che il Risorto ci voglia dire che non e’ morto invano solo se riusciamo a trasformare questa vita, quella del mio vicino, del mio collega, del mio nemico. E’ morto invano, invece, se lascio le cose come stanno e mi ostino a credere che Dio mi stia proponendo qualcosa d’altro, fuori da questo mondo, cosi’ brutale, ma che lui ha tanto amato da dare la sua vita per noi.
Domenica mattina, Domenica di Pasqua, uno dei motivi per cui la gente di Korogocho chiedera’ perdono e’ “per aver paura”. Se hai paura non ti muovi; non gridi “aiuto!” per salvare chi stanno accoltellando; non entri in casa del vicino quando senti la vicina gridare per le botte che sta prendendo; ignori l’ubriaco o il drogato steso sull’asfalto davanti a casa tua (a Korogocho) o nascosto in qualche antro, o anche in casa sua (nella civile Europa). Anche questa, guarda caso!, e’ una parola tipica del Risorto: “Non temete!”.
Scrive Paolo Curtaz: “Ci vuole fede per superare il proprio dolore. Tutti abbiamo una qualche ragione per sentire vicino Gesù crocifisso. Tutti ci commuoviamo davanti a tale strazio, tutti sappiamo condividere il dolore che è esperienza comune di ogni uomo. Ma gioire no, è un altro paio di maniche, gioire significa uscire dal proprio dolore, non amarlo, superarlo, abbandonandolo”. “Tornare indietro” con negli occhi la luce abbagliante della Risurrezione (ma non si vede mai bene, quando si e’ accecati…), significa rivisitare il proprio dolore e quello della gente che mi sta accanto, ripiombarsi nel dolore quotidiano che ognuno di noi tocca con mano, e superarlo perche’ sconfitto per sempre. E gioire.
Devo solo trovare il modo giusto per farlo capire a Cynthia…
Un abbraccio a tutti e, davvero, Buona Pasqua!
Stefano